Economia

La fine delle opportunità (dal vangelo secondo Kondratiev)

Ormai ce lo stanno dicendo in tutti i modi, da tutti i pulpiti (banche centrali, editoriali sui quotidiani, talk show politici, il mio edicolante, per dire, ieri si intratteneva con un cliente sostenendo che le banche non fanno più credito): …Leggi tutto

Ormai ce lo stanno dicendo in tutti i modi, da tutti i pulpiti (banche centrali, editoriali sui quotidiani, talk show politici, il mio edicolante, per dire, ieri si intratteneva con un cliente sostenendo che le banche non fanno più credito): le banche non fanno più credito. C’è il “credit crunch” (la stretta del credito), non si fanno più prestiti all’economia reale; non che manchi liquidità alle banche al dettaglio, è solo che – come il dice il mio edicolante che incarna il sogno/incubo della scienza economica di essere discussa anche dall’uomo per strada – le banche sotto casa si fanno dare i soldi dalle banche centrali ma poi tengono la liquidità in cassaforte, senza prestare gli stessi soldi alle imprese e alle famiglie per gli investimenti o il consumo, anche solo per il classico mutuo per acquisto casa.

Questa, secondo molti edicolanti, è la vera ragione per cui la crescita non riparte. Non c’è più credito.

Ma perché? Perché le banche non prestano? Per pura cattiveria e cinismo? Per poter usare quei soldi per speculare sui derivati invece che fare prestiti virtuosi alle piccole e medie imprese e alla povera gente che non arriva a fine mese? Sono forse così avide e senza Dio?

Dall’inizio della grande crisi (2008) le banche centrali, a vario titolo, hanno dato (pompato, stampato) moneta al sistema bancario sia con operazioni pronti contro termine (liquidità in cambio del prestito titoli detenuti nei bilanci bancari, soprattutto in Europa) sia con operazioni a mercato aperto, cioè comprando titoli sui mercati finanziari, titoli venduti principalmente dalle banche stesse che se ne sono liberate perché spesso si titoli a rischio default (vedi i famigerati MBS, titoli le cui cedole dipendono dai rimborsi dei mutui subprime).

Ma come è stato usato il denaro arrivato alle banche grazie alla politica monetaria espansiva che abbiamo descritto sopra? Ebbene, è stato in parte reinvestito comprando altri titoli più sicuri di quelli rifilati alle banche centrali (swap del rischio): titoli ad alta liquidità e poco rischio (rating AAA o simili), soprattutto titoli di Stato americani, tedeschi e delle aziende private più solide (corporate bonds investment grade), un po’ sono andati in azioni facendo salire ai massimi le quotazioni di S&P, Nasdaq e Dax, un po’ in materie prime ma NIENTE, o QUASI NIENTE, è andato a quella che era la tradizionale clientela bancaria del quartiere: le imprese (soprattutto medie e piccole) e le famiglie. Con un adagio ben noto in America, il denaro è andato a Wall Street (in generale sui titoli sicuri, liquidi e quotati nelle Borse) e non a Main Street, il business fuori dal giro globale.

In parte questo gioco a nascondino dei soldi nel caveau è stato un gioco delle parti con le banche centrali stesse: non potendo queste ultime per legge sottoscrivere i titoli di debito dei paesi sovrani (c.d. monetizzazione del debito pubblico) hanno deciso di prestare alle banche i soldi perché siano loro a comprarli oppure aspettano che siano le banche ad acquistare e loro li ricomprano successivamente, in una partita di giro che serve a stampellare stati iperindebitati in un percorso fiscale piuttosto avventuroso sulla china delle teorie keynesiane; essendo un gioco delle parti nel vero senso della parola le banche centrali ora fanno spallucce fischiettando e spronano le banche: “dai, su prestate, cosa aspettate?”.

Un indicatore che ci aiuta a capire il “credit crunch” mondiale rispetto all’espansione monetaria delle banche centrali è il rapporto tra l’aggregato M2 (che rappresenta la disponibilità di liquidità nel sistema = banconote + riserve banche presso banca centrale + c/c e depositi di risparmio delle famiglie) e il valore dei prestiti al settore privato (cioè cosa ci fa la banca con tutto M2 di cui dispone). Prendiamo il mercato USA: da settembre 2008 a marzo 2013 il valore della base monetaria = banconote + riserve delle banche presso banche centrali, è salito del 200% (da 1000 a 3000 miliardi di $) contribuendo a far salire il valore di M2 da 7500 a 10500 miliardi di $; quindi soprattutto grazie  alla FED (+200% per la sua parte) la moneta M2 a disposizione delle banche è salita di ben il 40% ma solo in parte questa ondata si è trasferita nel denaro disponibile per imprese e famiglie: infatti il valore dei prestiti al settore privato è rimasto ai valori del 2008, un misero incremento del 2,8% (da 7000 a 7200 miliardi di $). Ne risulta che la “spinta” delle banche centrali non si trasferisce all’economia perché le banche tesaurizzano e non espandono l’offerta di moneta. Di quei 2000 miliardi di $ in più dati dalla FED, per farla breve, solo 200 miliardi sono passati in nuovi prestiti a imprese e famiglie.

In Europa la situazione non è molto diversa, soprattutto dopo l’esplosione della crisi del debito pubblico dei paesi periferici. Per fare un esempio la quantità di moneta che le banche italiane invece di prestare preferiscono tenere nel caveau della BCE (senza essere obbligate a farlo come quota riserva obbligatoria a garanzia) è passata dai soli a 49 milioni di euro di inizio 2010 a ben a 22,5 miliardi contabilizzati nel marzo di quest’anno. A livello europeo le eccedenze sono ben superiori a 200 miliardi di euro, sul conto corrente vincolato di Francoforte che li remunera a tassi minimi (0,50% dalla settimana scorsa). 200 miliardi di euro che potrebbero essere 1 milione di nuovi mutui in tutta Europa, per dire, a un valore medio di 200mila euro. Se poi le banche fossero sicure di ricevere indietro i soldi dei mutui userebbero i soldi depositati dai venditori di case per fare 1 milione di prestiti alle piccole e medie imprese  da 200mila euro l’uno (per costruire componentistica per auto, supponiamo) e se fossero sicure di ricevere indietro anche questi userebbero i soldi depositati presso di loro dalle stesse imprese per fare 10 milioni di prestiti per pagare l’automobile da 20mila euro a privati… e se fossero sicure di ricevere indietro presterebbero…(è così che funziona il moltiplicatore monetario, io per prudenza mi fermo a 200 miliardi di riserve che sono diventati 600 miliardi di prestiti ma ai bei tempi si arrivava fino a 200 che diventano 2000…).

Ritorniamo però alla domanda iniziale, perché le banche non prestano ai privati ciò che ricevono dalle banche centrali?

Secondo molti perché dopo lo scoppio della bolla finanziaria alle banche sono state date regole di gestione del rischio molto più restrittive per cui per ogni prestito che si fa alla clientela bisogna accumulare più capitale proprio e/o più riserve e dato che molti prestiti già in essere hanno la natura di essere rischiosi (sofferenza bancarie, si dice) finisce che i soldi delle banche centrali servono solo a mettere più in sicurezza le banche e a ridurre proprio il leverage, cioè il moltiplicatore monetario che abbiamo descritto sopra. Ancora il gioco delle parti tra banche centrali e banche al dettaglio: “Vi prestiamo i soldi ma facciamo delle regole per cui è meglio se non li prestate. Perché dunque non li prestate?”.

Ma probabilmente il colpevole sta anche in quella serie di – se fossero sicure di ricevere indietro - di due paragrafi sopra. L’idea che serpeggia sempre più è che non si sia in un ciclo recessivo dell’economia perché manca la moneta per finanziare la crescita, c’è sempre di più la paura che non esista più una crescita da finanziare. Che il rapporto causa-effetto manchi perché mancherebbe l’effetto.

Le banche non sono più sicure di ricevere indietro i soldi che prestano per i mutui perché probabilmente i mutuatari perderanno il lavoro e non lo rimborseranno e perché ormai ci sono talmente tante case in giro che i prestiti farebbero solo alzare i prezzi senza portare alla costruzione di nuove case reali; non sono più sicure di ricevere i soldi prestati alle piccole e medie imprese per la produzione componentistica auto perché la gente senza lavoro non compra nuove auto e perché ormai di auto ce n’è almeno una a testa e non sappiamo ormai dove parcheggiarla per non parlare del fatto che ci sono ancora troppe aziende che lavorano nel settore automobilistico e quindi qualche azienda fallirebbe comunque; in ultimo le banche non sono nemmeno sicure di ricevere indietro i prestiti ai consumatori per comprare l’auto perché dati i fattori di cui sopra nessun consumatore probabilmente quel prestito lo chiederà mai.

Bisogna ricordare che la moneta è sempre al servizio della produzione di merci e servizi “reali” per mezzo di altre merci e servizi “reali”, la moneta dovrebbe solo servire a contare merci e servizi, a favorirne lo scambio. Esistono in questo senso teorie del ciclo economico secondo i quali crescita e recessione sono in realtà fasi di lungo termine che dipendono dall’innovazione soprattutto tecnologica: quando viene inventata la macchina a vapore si scopre come produrre merci nuove su larga scala grazie all’energia e nasce il sistema industriale, quando si inventa il treno si inventa il modo di scambiare le merci su larghissima scala geografica espandendo il mondo, quando si inventa l’automobile l’uomo entra in una nuova dimensione economica e sociale, tutti devono avere l’automobile e l’economia cresce grazie agli investimenti per comprare le automobili prima e per gli acquisti di automobili poi, nasce la radio, tutti vogliono la radio, nasce la TV tutti vogliono la TV e così via fino a oggi quando tutti vogliono il computer e l’iphone.

Secondo i teorici del ciclo guidato dall’innovazione è l’offerta di beni che crea la sua domanda. Per chi accetta questa visione è ben diverso offrire più moneta all’inizio del ciclo in cui si scopre come produrre l’automobile e la domanda è investimenti ancora vergine rispetto a quanto lo sia offrire più credito quando ormai l’automobile ce l’hanno tutti e il mercato è fondamentalmente saturo, in questo ultimo caso il passaggio credito-investimento-consumo rischia di non funzionare e di non creare nuovi merci e nuovi consumi ma solo inflazione e crediti persi in fallimenti aziendali. Guardate quante auto ci sono parcheggiate in doppia fila fuori dalla vostra finestra. Controllate in casa, avete tutto? Frigorifero, lavatrici, schermo TV , frullatore, etc.? C’è davvero ancora qualcosa di cui non si può fare più a meno?

Uno dei maggiori teorici del fatto che i cicli siano lunghi e dipendano dall’innovazione è stato un certo Kondratiev che ha teorizzato l’esistenza di onde di lungo termine (almeno 50 anni) con una fase crescente iniziale di invenzione-investimento e una fase finale di consumo-saturazione nella quale si entra in recessione a prescindere dall’offerta di moneta, dagli stimoli e tutte quelle operazioni che banche centrali egli stati keynesiani possano mai concepire per rivitalizzare l’economia: allora per ripartire serve semplicemente qualche nuova invenzione, qualche nuova merce o qualche nuovo servizio che oggi non esiste.

Se fosse vero che siamo all’esaurimento del ciclo espansivo dell’informatica (che secondo la teoria Kondratiev inizia con gli anni ’70) e che l’iPhone sia l’ultimo gioiello che annuncia la fine di quel ciclo economico cinquantennale, vuol dire che ancora per molto tempo l’economia mondiale dovrà soffrire tra recessione e depressione economica, anche se almeno avremmo una spiegazione non solo del perché non le banche non prestano i soldi all’industria o ai consumatori ma anche del perché un’azienda come Apple, che ha più di 140 miliardi di $ in cassa per il travolgente successo degli ultimi dieci anni e che con quei soldi potrebbe investire in ricerca e sviluppo per prodotti nuovi o semplicemente comprarsi in contanti altri colossi (per esempio Vodafone, che vale circa la sola cassa di Apple), preferisca addirittura indebitarsi per restituire soldi agli azionisti.

Come a dire forse non sappiamo più cosa farci con questo denaro, finiti come siamo in una specie di trappola della liquidità: i mezzi liquidi ci sarebbero ma a mancare sono le opportunità di investimento e rilancio della crescita e dei consumi.

Moneta tanta o moneta poca.

Banche o non banche.

 

 

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Paolo Landi