Economia americana: a che punto siamo
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Economia americana: a che punto siamo

Nei primi tre mesi dell'anno il pil si è contratto del 2,9%. Un declino figlio del mal tempo, del calo dei consumi interni e delle deboli esportazioni. Ma c'è ottimismo per il futuro

Meglio non preoccuparsi troppo, il rimbalzo arriverà. È questo quello che pensano gli analisti delle banche d’investimento dell’economia statunitense, che nel primo trimestre dell’anno si è contratta di 2,9 punti percentuali su base annuale. Un declino che è figlio di numerose ragioni, fra cui il cattivo tempo e un sensibile calo dei consumi interni, senza dimenticare la debolezza delle esportazioni. Ma lo spazio per l’ottimismo c’è ancora.

In molti si attendevano una flessione del Pil degli Stati Uniti. Le severe condizioni meteorologiche che hanno caratterizzato l’inverno americano hanno avuto strascichi pesanti su tutta l’economia. Lo aveva detto più volte Janet Yellen, il governatore della Federal Reserve, la banca centrale statunitense. E così è stato. "Non ci saranno altre ripercussioni, la nostra posizione di politica monetaria accomodante sarà utile per tutto il resto dell’anno", ha detto la Yellen durante le ultime riunioni del Federal Open Market Committee, il braccio operativo della Fed. Oltre al cattivo tempo, tuttavia, c’è di più. Infatti, è giunto un calo nella crescita dei consumi privati, cresciuti solo di un punto percentuale su base trimestrale contro la salita di 3,1 punti registrata nel corso dei tre mesi precedenti. Un rallentamento dovuto all’incertezza riguardo alla situazione occupazionale, ha fatto sapere la Fed.

In ogni caso, il monitoraggio dei dati che arrivano dai singoli distretti del sistema è serrato e, come ha ricordato la Fed, in vista c’è un rimbalzo significativo per la seconda parte dell’anno. Che sia vero o no, solo il tempo lo dirà. Secondo Wells Fargo, però, il deterioramento della domanda interna non è ancora terminato. Proprio come non è finito il calo dell’export, che nel primo trimestre dell’anno ha influito in modo rilevante sulla formazione del Pil. "La domanda, sia interna sia esterna, resta debole e fragile. Ci attendiamo altre brutte sorprese", ha detto la banca americana guardando al versante della domanda aggregata.

Nell’aria c’è però diverso ottimismo. Secondo Goldman Sachs, dopo questi primi tre mesi negativi, la ripartenza dell’economia sarà netta. Non è ancora chiaro quale sarà il dato definitivo sul Pil, ma sarà positivo. Più precisa la posizione di Capital Economics, che prevede un rimbalzo di 3 punti percentuali già nel secondo trimestre. Stessa opinione per il Credit Suisse e per HSBC. Ancora più ottimista è ING, che vede un Pil a +5% nel secondo trimestre dell’anno. Merito del rilancio delle esportazioni e della creazione di posti di lavoro, che rimane solida. Nei primi mesi del 2014 sono stati creati circa 200mila posti ogni 30 giorni, con uno dei migliori tassi di crescita occupazionale dal crac di Lehman Brothers a oggi. La dinamica, stando alle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI), non dovrebbe invertirsi nei prossimi mesi.

Nessuna preoccupazione, quindi? Non proprio. La sfida per l’economia statunitense si chiama normalizzazione dei tassi d’interesse. Dopo sette anni di stimoli, fiscali e monetari, per fare fronte alla peggiore crisi finanziaria dal 1929, dovrà arrivare il momento per una nuova normalità. La politica monetaria adottata dalla Fed, che prende il nome di Zero Interest Rate Policy (ZIRP) e che prevede tassi prossimi allo zero per un prolungato intervallo temporale, non potrà essere portata avanti ancora per molto. Il tutto per evitare la formazione di asimmetrie sui prezzi di alcune classi di asset. Asimmetrie che, come nel caso dell’equity e del mercato immobiliare, si stanno già creando. Non c’è  ancora una data precisa entro la quale la Fed deciderà di innalzare i tassi, ma il consensus degli analisti vede il primo rialzo nel corso della prima metà del 2015. Prima, dovrà essere portata a conclusione l’esperienza del terzo round di allentamento quantitativo (Quantitative Easing, o QE), che dovrebbe termine entro fine anno, fra ottobre e dicembre.

Poi, si entrerà in un territorio inesplorato. L’America dovrà tirare le somme sugli stimoli erogati, per comprendere se hanno avuto gli effetti sperati. Secondo l’analisi del Peterson Institute for International Economics (PIIE), l’economia statunitense non tornerà mai più alla normalità pre-Lehman. Quei tempi sono solo un ricordo, ha ribadito il PIIE. In ogni caso, potrà ripartire dalla situazione attuale, in cui i fattori produttivi hanno subìto un profondo cambiamento. Sempre che l’impatto della fine del QE e del regime di tassi a quota zero non sia maggiore della aspettative della Fed.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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