Il Def di Renzi: a cosa credere e a cosa no
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Economia

Il Def di Renzi: a cosa credere e a cosa no

Crescita, deficit, debito, cause di un'economia che stenta a ripartire. Tra meriti del Governo (pochi) e della Bce (molti)

Un quadro più ottimista del previsto. È questo quello che emerge dalla prima versione del Documento di economia e finanza, che sarà presentato in versione completa questo venerdì. Il governo guidato da Matteo Renzi vede positivo, ma non sono pochi i meriti della politica monetaria non convenzionale introdotta dalla Banca centrale europea (Bce) come vi spieghiamo nelle slide che seguono.

Crescita e QE

Come si legge nel Def, “la programmazione economico-finanziaria viene aggiornata alla luce di un quadro macro favorevole all’Italia e all’eurozona”. In particolare, spiega il governo, “il prezzo dell’energia ha subito un drastico calo e al tempo stesso il rapporto euro/dollaro è più coerente con i fondamentali delle due aree economiche”. E secondo l’esecutivo di Matteo Renzi, “questa seconda componente del quadro macro si è realizzata grazie alla politica di Quantitative easing (Qe, ndr) della Bce, resa possibile sia dalla gestione responsabile dei bilanci nazionali dei paesi dell’Unione europea, sia dal nuovo clima maturato durante la presidenza italiana dell’Unione europea”.

In realtà, come sottolineato più volte dal presidente della Bce Mario Draghi, l’esistenza del Qe è possibile per lo più in virtù del pericolo dello sprofondamento dell’area euro in deflazione. Non meno è stata importante la nuova disciplina dei bilanci pubblici introdotta negli ultimi tre anni dalla Commissione europea, che ha messo sotto stretta sorveglianza i governi degli Stati membri. E non mancano i rischi di una futura revisione al ribasso.

Crescita

La crescita economica risulterà essere di poco migliore delle precedenti stime del governo. Nello specifico, il Pil italiano crescerà dello 0,7% nell’anno in corso e dell’1,4% nel prossimo. Poi, si manterrà su queste quote sia per il 2017, quando crescerà dell’1,5%, sia per il 2018, quando il Pil salirà dell’1,4 per cento.
Secondo il governo è il frutto delle misure introdotte negli ultimi mesi tramite il decreto legge 66, la legge di stabilità e l’investment compact. E queste misure sono riassunte nello specifico. Come spiega la bozza del Def, la nuova spinta per il Pil deriva da “piena realizzazione del jobs act, riforma della pubblica amministrazione, riforma della legge elettorale e dell’architettura istituzionale, riforma della scuola, adeguamento del settore del credito, revisione della spesa orientata sia alla generazione di risparmi che all’aumento dell’efficacia dei servizi pubblici offerti a cittadini e imprese”.
Tuttavia, secondo quanto ha fatto notare la Commissione europea, occorre agire ancora con più vigore per liberare il potenziale di crescita del Paese e migliorare la competitività delle imprese italiane. Anche e soprattutto a partire da una più ampia razionalizzazione della spesa pubblica e da una riduzione del costo del lavoro.

Deficit

Uno dei capitoli più difficili da risolvere, quello del disavanzo pubblico, è sotto controllo. Secondo le stime del governo, il pareggio di bilancio sarà ottenuto nel 2018. Fino ad allora, il rapporto fra deficit e Pil sarà in ogni caso al di sotto del parametro europeo, il 3 per cento. E allora avremo un disavanzo del 2,6% nel 2015, dell’1,8% nel 2016 e dello 0,8% nel 2017. Tutto questo solo a livello nominale. Per quanto riguarda il deficit strutturale, ovvero il disavanzo corretto per il ciclo economico, il pareggio di bilancio sarà toccato nel 2017, per poi essere mantenuto nel 2018. Nell’anno in corso, invece, il disavanzo strutturale sarà dello 0,5%, mentre nel 2016 sarà dello 0,4 per cento. E questo è il quadro programmatico.

Secondo invece il quadro tendenziale aggiornato, ovvero le assunzioni macroeconomiche del governo, il pareggio di bilancio strutturale potrebbe essere raggiunto già il prossimo anno. Ma è stato deciso di utilizzare lo 0,4% del Pil, così “da conferire una natura espansiva alla programmazione per il 2016”. Questo significa che il prossimo anno l’Italia spenderà lo 0,4% del Pil in investimenti. Dato che il Pil italiano è stato circa pari a 1.904 miliardi di euro nel 2014, secondo i dati Bloomberg, l’Italia ha deciso di spendere circa 7,62 miliardi in investimenti. Non una gran somma, quindi.

Debito

All’aumentare del Pil, scenderà il suo rapporto con il debito pubblico, il fardello più pesante per l’Italia. Nel 2015 l’indebitamento toccherà quota 132,5% del Pil, per poi scendere a partire dal prossimo anno. In particolare, il debito calerà al 130,9% del Pil nel 2016, poi andrà al 127,4% nel 2017 e infine arriverà al 123,4% nel 2018. Lo scenario non muta nel quadro tendenziale aggiornato, se non per qualche decimale. E nelle stime del governo si prevede che il percorso virtuoso sia iniziato. “La regola del debito viene quindi rispettata e l’obiettivo viene centrato nel 2018”, sottolinea il Def. In ogni caso, il beneficio maggiore arriva dal miglioramento delle condizioni sul mercato obbligazionario, che ha permesso di avere un minor impatto degli interessi passivi sul debito sovrano sui conti pubblici.

Il futuro

Il quadro tendenziale aggiornato, che racchiude le previsioni del governo, è positivo. Merito del Qe della Bce, che permetterà ai Paesi dell’area euro di poter alleviare oltremodo il loro costo di finanziamento sui mercati obbligazionari, e merito del Piano Juncker, il programma di investimenti promosso dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. Ma la vera sfida è quella delle riforme strutturali. Utilizzando il tempo comprato dalla Bce e dalla Commissione Ue, gli Stati membri dovrebbero introdurre quelle misure promesse da tempo in grado di alimentare la crescita, promuovere gli investimenti diretti esteri e liberare la competitività perduta dall’inizio della crisi dell’euro a oggi. Tuttavia, c’è il rischio che la ripresa della zona euro sia solo basata sulla domanda esterna, e non su quella domestica, come sottolineato dalla banca francese Crédit Agricole. Se così fosse, lo scenario per quando terminerà il Qe della Bce potrebbe essere ben più negativo delle stime del governo Renzi.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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