Decreto Liquidità, storie di un fallimento
(Ansa)
Economia

Decreto Liquidità, storie di un fallimento

Doveva essere il bazooka per far ripartire l'economia. I soldi li hanno visti in pochi ed oggi Governo e Banche si palleggiano le colpe

Era il 6 aprile. Giuseppe Conte annunciava ovviamente in diretta "urbi et orbi" il Decreto Liquidità, il famoso "bazooka" (parole sue) di sostegno alle piccole, medie e grandi aziende. Un decreto che prevedeva ad esempio investimenti garantiti al 100% dallo Stato per 25mila euro. Parole.

Da quell'annuncio, sono passati 23 giorni, più di tre settimane, e la situazione è cambiata a 360°. Il bazooka è diventato un fucile, vecchio e scarico.

Marco è il tipico artigiano brianzolo; 9 dipendenti, arredamento. Oltre ad aver anticipato i soldi per la Cassa Integrazione di marzo e anche di aprile ai suoi dipendenti ha pensato bene di recarsi in banca per chiedere lumi sul Decreto: «Conosco il direttore da anni - ci racconta - appena mi ha visto ha capito subito. Mi ha fatto sedere e sventolava il testo del decreto con le regole attuative, nei dettagli. Erano quasi 90 pagine. Poco incomprensibili anche a lui. Non sapeva nemmeno a che tasso avrebbe potuto prestarmi i soldi… Lascia perdere, mi ha detto… Ho provato comunque. Doveva essere una pratica rapida, semplice. E' in realtà molto complessa e lunga, lunghissima. Il tempo, oggi più che mai, è denaro e non ho tempo da perdere. Sono già preoccupato e concentrato sul capire come e quando riaprire. Devo trovare mascherine, termoscanner, guanti, gestire i dipendenti in sicurezza… Sia chiaro. Il mio è un tentativo: io riapro poi vediamo cosa succede. Di certo non posso perdere soldi all'infinito. Ho risorse fino ad ottobre poi se non succede qualcosa di concreto, chiudo».

Dalla piccola alla media impresa la musica non cambia.

IPEA produce e distribuisce in tutto il mondo articoli per l'arredamento da 50 anni, il titolare Alberto Veggetti si trova a dover fare i conti con una situazione mai provata prima. L'incertezza, la mancanza di risposte chiare e univoche si percepiscono dalle sue frasi fatte di tante domande per cui non ottiene risposte. «È una tempesta perfetta. Contemporaneamente sei colpito da molteplici fattori destabilizzanti. Fortunatamente siamo solidi e possiamo far fronte da soli a una emergenza temporanea, i nostri piani aziendali prevedono ovviamente periodi di crisi da superare ma per qualche mese. Ora quanto durerà? Anche se noi riusciamo a tenere per un po' non possiamo sottovalutare che il nostro lavoro si inserisce in una filiera territoriale (quella del mobile della Brianza) fatta di una serie di realtà imprenditoriali medio-piccole, anche artigianali di livello familiare il crollo di una percentuale significativa di realtà aziendali che non ce la faranno rischiano di far collassare l'intero sistema. E non possiamo dimenticare che anche se reggiamo il mercato è in sofferenza, comprare non è una priorità quando non si lavora e si deve sostenere una famiglia».
«Siamo ancora chiusi e aspettiamo il 4 maggio senza disposizioni chiare. Sul dopo leggo i vari decreti, guardo la televisione, leggo i giornali, ma penso che alla fine sarò costretto ad affidarmi solo al mio buonsenso e a quello dei miei uomini. Di aiuto in questo momento tutti ne abbiamo bisogno, noi per ora riusciamo a pagare lavoratori e fornitori ma quando si abbatteranno le vendite. Siamo abituati a anticipare i tempi e fin dal 18 aprile ho cominciato a chiedere a istituti bancari con cui lavoro da anni disponibilità. Risultato? Questionari di 25 pagine, modelli da compilare, firme da mettere poi il nulla. Anche le banche dicono che devono capire come fare. Se non sei un'azienda solida non ottieni nulla. Altro che sostegni, sono finanziamenti capestro e la cosa più grave di tutto questo decreto sono i tassi di interesse che dovevano essere vicini allo zero e con una quota a fondo perduto che permettesse di respirare. Ci dovevano offrire almeno il tempo: sei anni per rientrare non sono sufficienti per chi deve produrre e acquistare le materie prime soprattutto con la crisi che si prospetta i pagamenti delle forniture verranno richiesti in anticipo. Si doveva puntare ai dodici o quindici anni. Dopo due anni di preammortamento quando paghi la quota di interessi la rata diventa un peso anche per le aziende solide e obbligano a prendere tempo ritardando i pagamenti dei fornitori sommando problema al problema».

Gruppo Sapio, una società fondata nel 1922 a Monza che opera nel settore dei gas tecnici e medicinali rappresenta un caso particolare. Maurizio Colombo Vice Presidente del Gruppo è preoccupato per l'assenza di chiarezza e di certezze.

«Siamo un'azienda atipica. Non abbiamo mai chiuso l'attività perché operiamo in ambito tecnico medicale e la fornitura di ossigeno è stata fondamentale in questa emergenza. Non potevamo permetterci di creare discontinuità. Fin da subito ci siamo adeguati alle necessità di distanziamento e smartworking. Malgrado la nostra forza nel settore non abbiamo indicazioni chiare tra un rimpallarsi delle procedure tra Stato e Regione. Abbiamo dovuto dotarci di due esperti interni e un virologo per districarci nelle procedure. Saremo anche in grado di fare test immunologici e tamponi internamente per lavorare meglio ma l'Istituto Superiore di Sanità non è ancora in grado di darci indicazioni precise. Non facciamo altro che monitorare costantemente le attività di governo per comprendere cosa verrà fatto, ma non tutti si possono permettere un gruppo di lavoro interno per avere informazioni dallo stato. Un mese fa eravamo certi che sarebbero arrivati aiuti e finanziamenti, non tanto per noi che riusciamo che siamo un grande gruppo con sedi anche all'estero ma per il sistema. Un'azienda non è un'entità isolata e per operare bene deve avere un sistema economico che funzioni intorno a sé. Se i miei 60 mila clienti vanno in sofferenza anche noi ne soffriamo. Siamo circondati da attività ferme da mesi che non sanno cosa sarà del loro domani. I finanziamenti del decreto imprese non vengono dati se non si è solidi quindi alla fine i soldi li potrebbero ottenere chi già li ha va da sé che non è un aiuto per sostenere l'economia di un paese come il nostro che è fatto soprattutto di realtà medio piccole. Va specificato molto bene perché spesso lo si dà troppo per scontato che i soldi che dovrebbero arrivare dalle banche per sostenere l'economica sono anticipazioni e dopo due anni si deve cominciare a rientrare. Mancano i sostegni economici e manca il tempo due fattori fondamentali per un'azienda in difficoltà che ha gli operai in cassa integrazione e deve pagare le tasse e l'energie»

«Il nostro Gruppo ha sedi anche in altri paesi europei e dialogo con gli altri governi. Posso dire con certezza che il sostegno economico e la risposta dei governi non è stata univoca. Le aziende tedesche sono sicuramente avvantaggiate di noi e ripartiranno prima: sanno tutto in tempo reale dal loro governo, hanno maggiore informazione e hanno ricevuto già i anticipazioni; quelle francesi hanno già avuto finanziamenti a fondo perduto e si stanno già attrezzando per la riapertura lavorando sugli adattamenti interni e sulla sicurezza.L'imprenditore italiano cosa farà? Una cosa è certa: abituati come siamo a difenderci dalle inefficienze del nostro governo sa trovare soluzioni fai da te in ogni situazione. È difficile abbatterci».

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