La crisi dell'Italia, il grande malato d'Europa
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La crisi dell'Italia, il grande malato d'Europa

Il pil in calo dell' 0,1% nel primo trimestre dell'anno è un indicatore chiaro: la ripresa è lontana. E per capirlo fino in fondo bisogna guardare famiglie e imprese. Mentre le banche arrancano

Per uscire dalle sabbie mobili, la strada è ancora lunga. Sui mercati finanziari il peggio potrà anche essere passato, ma è ancora presto per dire che l'Italia è fuori pericolo. Anzi, il dato relativo al Pil del primo trimestre dell'anno - meno 0,1% su base congiunturale, meno 0,5% su base tendenziale - non fa altro che alimentare l'idea che l'Italia sia a tutti gli effetti il grande malato d'Europa.

Nell'autunno 2011, ovvero il periodo più oscuro dell'Italia sui mercati, furono diverse le idee per uscire dall'impasse. Da una richiesta ufficiale di sostegno al Fondo Monetario Internazionale (FMI) a un'uscita temporanea del Paese dall'eurozona, passando per una patrimoniale e la vendita dell'oro della Banca d'Italia, cioè la terza riserva mondiale. Poi, c'era la strada maestra, fatta di sacrifici e riforme. Non in nome della troika composta da FMI, Commissione UE e Banca Centrale Europea (BCE). No, in nome del futuro dell'intero Paese. Senza azioni invasive come una riforma del mercato del lavoro, o del sistema previdenziale, o ancora del mercato dei capitali, il destino sarebbe stato segnato. Il Paese sarebbe stato salvato - in forma più o meno esplicita - e si sarebbe perso il momento per un cambiamento radicale. Ed è proprio ciò che è successo.

L'Italia è stata de factosalvata dalla BCE. Come? Tramite il lancio delle Outright Monetary Transaction (OMT), le operazioni di mercato aperto con le quali l'Eurotower può comprare bond governativi dietro condizionalità. Il programma è stato presentato nel settembre 2012 e questo è bastato a creare un circolo virtuoso, fatto di fiducia nell'eurozona, che ha prodotto la calma apparente che ancora oggi si può osservare sui mercati.

L'Italia, in tutto questo, è al terzo presidente del Consiglio in tre anni. Non proprio un esempio di stabilità e continuità. Ma soprattutto, l'Italia deve fare i conti con se stessa. Il debito pubblico ha superato in marzo quota 2.120 miliardi di euro, registrando un nuovo record secondo le serie storiche della Banca d'Italia. Il rapporto fra debito e Pil è in costante peggioramento, oltre quota 133%. Sarà sempre più difficile raggiungere il target del 120% nel 2020 come previsto dal FMI.

Vanno meglio le cose sul fronte del deficit. Il disavanzo sarà dentro i limiti del Fiscal Compact e non sono previste deviazioni, pena la riattivazione della procedura UE d'infrazione per deficit eccessivo.

E poi c'è il Pil. In lieve aumento nel quarto trimestre 2013, di nuovo in calo nel primo di quest'anno. Eppure, Palazzo Chigi e Tesoro continuano a ribadire che la ripresa è ormai arrivata. Non la pensano così le istituzioni finanziarie internazionali e le maggiori banche globali. Il FMI ha abbassato le previsioni di crescita dell'Italia. E così ha fatto anche l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Inoltre, la banca britannica Barclays ha stimato una crescita del Pil, per l'intero 2014, dello 0,2%. In pratica, una stagnazione. Quest'ultima, unita all'attuale scenario di bassa inflazione, il quale potrebbe sfociare in una deflazione, crea un mix ben più pericoloso delle tensioni osservate sui mercati finanziari nel 2011.

Per capire la profondità della crisi italiana occorre guardare oltre ai dati di finanza pubblica. Occorre volgere lo sguardo a famiglie e imprese. Le prime hanno sempre meno fieno in cascina, le seconde molto spesso devono decidere se continuare l'attività imprenditoriale o no.

Partiamo dalle famiglie. Secondo un'analisi di Goldman Sachs il tasso di risparmio degli italiani, in rapporto al reddito disponibile, è passato dall'essere sopra quota 20% negli anni Ottanta a sfiorare il 7% nel 2013. Un tracollo senza precedenti.

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E non bisogna stupirsi. "Da un lato il mutamento delle abitudini di consumo, dall'altro la crisi, che ha sancito il ruolo delle famiglie come primo ammortizzatore sociale del Paese, hanno cambiato la propensione al risparmio degli italiani", ha scritto la banca americana. E non si prevedono inversioni di rotta per gli anni a venire.

Debole il risparmio, deboli i consumi. È questa una delle cause principali del calo del Pil italiano nel primo trimestre dell'anno. I consumi interni sono ancora negativi, e lo saranno per tutto il 2014, come spiegato dal FMI nell'ultimo aggiornamento del World Economic Outlook.

Meno consumi, meno liquidità per le imprese. La produzione industriale, dopo aver perso circa il 20% dall'inizio della crisi, continua a tentennare. I tiepidi rimbalzi nelle serie storiche, come ha spiegato l'Istat in più occasioni, sono spesso riconducibili a meri effetti stagionali  quali le festività natalizie o pasquali. Lo ha scritto anche Deutsche Bank: "Il sistema industriale italiano soffre di mancanza di competitività e poca propensione a fare squadra nei processi decisionali nei confronti con lo Stato". Tradotto, significa che non mancano le eccellenze, ma non esiste un concetto sistemico di industria in Italia, capace di far valere i propri interessi. Senza questa fattispecie, la quale potrebbe essere utile a un massiccio abbassamento del carico fiscale per le imprese, la stagnazione è destinata a prolungarsi.

Infine, le banche. Se è vero che durante la crisi subprime, fra 2007 e 2009, il sistema bancario italiano ha retto il colpo meglio di tanti altri a livello europeo, è altrettanto vero che ora è uno dei più deboli. Tre i motivi su tutti. Il primo è il circolo vizioso fra bond governativi e istituti di credito. Le banche italiane hanno in pancia circa 400 miliardi di euro di titoli di Stato e sono il primo compratore alle aste primarie del Tesoro. Ciò significa che ogni minima fluttuazione dell'Italia sul mercato obbligazionario si trasmette in modo repentino sulle banche. Un spada di Damocle che è tenuta su solo dalla BCE e dalle OMT.

Poi, c'è il secondo motivo, che prende il nome di Non-performing loan (crediti dubbi, o Npl). Sono tanti, oltre 160 miliardi di euro secondo i calcoli della Banca d'Italia, e sono in aumento. Finora, le iniziative per ridurli sono avvenute solo in forma privata, come l'accordo fra Intesa Sanpaolo, UniCredit e KKR per la creazione di un portafoglio unico di asset deteriorati. Ma non basta. Gli investitori stranieri chiedono una pulizia più profonda dei bilanci, come quella fatta dalla Spagna fra 2012 e 2013, quando Madrid dovette chiamare la troika per salvare il sistema bancario iberico. Nel caso dell'Italia ci penserà la BCE tramite l'Asset Quality Review (AQR), la verifica di tutti i bilanci delle 128 banche più rilevanti dell'eurozona, e gli stress test. Una volta conclusa l'operazione trasparenza da parte di Francoforte, sarà chiaro quanto è debole il sistema bancario italiano.

Infine il terzo, ovvero il modello di governance. Sono due anni che il FMI bacchetta l'Italia su questo versante e nulla è stato fatto. La commistione fra politica, economia e universo bancario era ed è uno dei più grandi ostacoli per l'intero sistema bancario nazionale, il quale agisce più nei salotti che sul mercato. Lo dimostra, ennesima prova di malversazioni diffuse e ormai ai limiti della consuetudine, il caso UBI. In ottica di immagine e di credibilità, non esattamente un esempio di virtuosismo.
Crescita anemica, debito sempre più elevato, credit crunch, risparmio sempre più ridotto, mancanza di continuità politica. A guardare l'Italia di questa prima metà del 2014, il cambiamento di verso non è ancora arrivato. Il problema più grande però è un altro. Data la calma sui mercati, il senso di urgenza è calato sempre più, riducendo i margini per l'inversione di rotta necessaria al Paese. Risultato? Lo stato comatoso dell'Italia continua.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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