Crisi economica: quattro motivi per dire sì alla 'felicità morbida'
Economia

Crisi economica: quattro motivi per dire sì alla 'felicità morbida'

La recessione spegne la voglia di vivere. ll sociologo Enrico Finzi dedica il suo nuovo libro al crollo della gioia di vivere. E alla crisi psicologica che accompagna quella economica. Con qualche ricetta contro la depressione diffusa

"Rientrando in Italia mi rendo conto che siamo colti da una profonda disillusione. Il nostro Paese ha una profonda crisi depressiva, non solo economica, che spegne ogni entusiasmo e che non è curabile in poco tempo". Sono parole che mi colpiscono quelle di Mauro Di Rosa, amministratore delegato di InAdv, gruppo di comunicazione con base a Torino, appena tornato da un viaggio in Israele, dove è andato per valutare nuove opportunità di business. Sono parole che sintetizzano efficacemente lo stato d’animo di buona parte della nostra classe imprenditoriale, stretta tra incudine fiscale e bassa pressione emotiva.

E rappresentano una più generale condizione del Paese, afflitto da ristrettezze economiche sì ma soprattutto da un crescente scoramento psicologico. Siamo 'abbacchiati', per dirla volgarmente. Sconfortati e scoraggiati. In una sola parola, sottilmente infelici.

Enrico Finzi, presidente di Astra Ricerche, uno dei più brillanti sociologi che si occupa da 30 anni di ricerche di mercato, parla senza mezzi termini del crollo della nostra felicità nel suo nuovo libro "Felici malgrado (pubblicato da Ecomunicare in formato ebook ma disponibile su carta a richiesta). Fino al 2010, per decenni, la percentuale di italiani che si dichiaravano felici era pressoché stabile, intorno al 39%. Nel 2011 c’è stato il crollo. Quindi un bel po’ di tempo dopo dopo lo scatafascio di Lehman Brothers di fine 2008 e l’inizio dei guai finanziari.

Fino al 2010 gli italiani che si dichiaravano felici erano stabilmente attorno al 39%. Dal 2011 sono aumentati gli infelici integrali, dal 12 al 17%, e gli appagati sono scesi dal 39 al 29%. "L’area sociale connotata dalla piena gioia di vivere ha perduto più di un quarto dei propri effettivi in meno di un triennio", sottolinea Finzi. "Un fenomeno inedito e drammatico".

Detto in altri termini, ci sentiamo male. A luglio nel monitor mensile di AstraRicerche ben il 70% degli italiani sosteneva che le “le cose vanno male o malissimo”. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: tonfo dei consumi, pessimismo diffuso, perdita di speranza. Soprattutto fra i giovani. Effetto: un forte stress sociale. "L’avvenuto default del Paese, non solo economico-finanziario, risulta percepito dal 61% degli italiani", osserva Finzi. Ma c’è un ma… Forse senza rendercene conto stiamo mettendo in atto strategie di difesa, cercando quella che il sociologo chiama “soft happiness”, una felicità morbida, fatta di cose piccole e non durature, di relazioni nuove, di aspettative diverse. In altri termini, ci arrangiamo. Mostriamo una forte resilienza, cioè la capacità di reagire positivamente a un evento traumatico.

Ci pieghiamo, ma non ci spezziamo. Questo cambiamento influenza e influenzerà ancora per un po’ le politiche di marketing delle aziende e probabilmente anche le dinamiche politiche. Anche perché nel generale contesto depresso c’è chi riesce a non farsi deprimere. Finzi individua quattro ‘no’ vincenti (no allo scetticismo, all’irenismo -  cioè alla serenità fine a se stessa - all’approccio dionisiaco, alla fortuna come portatrice di felicità) e molti sì, quelli che caratterizzano le culture vincenti. Due soprattutto: la beatitudine fatta da lampi di felicità e l’impegno che viene da un concezione attiva della vita, che punta al miglioramento, che ha una visione etica, che persegue un sogno o un obiettivo sociale. Sono valori che coinvolgono circa la metà degli italiani.

Non è poco. Sono necessari per affrontare il cambiamento con personalità e autostima. E sostenere la crescita, personale e collettiva. Serve un impegno della politica (creare un ambiente favorevole, semplificare la vita, fare discorsi di verità, dare l’esempio) ma, conclude Finzi, è necessario anche un profondo ripensamento delle aziende per superare quest’onda. «Il marketing non ha colto la svolta epocale connotata dalla fine delle aspettative crescenti», scrive il sociologo. E rischia di fallire perché propone ancora messaggi che non aiutano i consumatori a risolvere i loro problemi. Si continua a navigare con mappe inadeguate. Mentre la rotta verso la crescita richiede marche, prodotti, servizi che aiutino a ritrovare la gioia di vivere. E la capacità di guardare al futuro con un po’ di ottimismo.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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