Un governo impotente, altro che crescita
Economia

Un governo impotente, altro che crescita

Le ambizioni di Monti per avviare lo sviluppo del paese rischiano di naufragare nel mare limaccioso della burocrazia ministeriale

Tanto tuonò che… non piovve. Sarà per le attese alimentate da annunci, interviste e convegni. Sarà per il fatto che gli argomenti sono triti e ritriti, ma il consiglio dei ministri di venerdì 24 agosto, quello che avrebbe dovuto segnare l’avvio della fase 2, la crescita dopo il rigore, ha generato soprattutto delusione, confermando la sensazione diffusa che anche i tecnici al governo fanno fatica a passare dalle parole ai fatti. Si sapeva che non sarebbe scaturita alcuna decisione.

Ma un’intera giornata giornata di brainstorming senza nulla di concreto è stata interpretata come un’ulteriore prova di impotenza. Nelle analisi degli editorialisti dei quotidiani di domenica la full immersion della squadra di Mario Monti è diventata “il seminario della speranza” (IlCorriere della sera) o “il seminario delle ambizioni” (la Repubblica). Ambizioni che rischiano di naufragare nel gran mare limaccioso della burocrazia ministeriale, i cui tempi non sono compatibili con l’urgenza della situazione.

Basta vedere i risultati dell’indagine del Sole24Ore di sabato 25: mancano ancora 350 decreti (ne sono stati fatti solo 40) per rendere operative le riforme già varate. Il tanto decantato Decreto Sviluppo, l’altrettanto esaltato Crescitalia, la tormentata Spending Review, la controversa Riforma del lavoro che ha fatto lacrimare il ministro Fornero sono ancora soltanto buone intenzioni.

E c’è chi comincia a temere che resteranno tali, e tra questi c’è anche il premier Monti, se è vero che ha incaricato il sottosegretario Catricalà di trovare il modo per fare presto. Il tempo è poco (quattro mesi) e il clima sta velocemente cambiando (“da questo momento in poi siamo dei sopportati, non più dei supportati”, si sarebbe lasciato sfuggire lo stesso Monti).

In questa situazione è più che comprensibile lo scetticismo sulla fattibilità dei progetti sui quali il ministro Passera ha “messo la faccia”: l’Agenda digitale e il sostegno alle nuove imprese giovani (start up). Sui social media si è manifestata la delusione del popolo della Rete. Non c’è malanimo, semmai frustrazione.

E molta ironia. “L’Agenda per la #Crescita è una Smemoranda. Governo #Monti dimentica sostanza dei progetti per i #giovani”, si legge su Twitter, dove è stato creato l’hashtag #AgendaDiBabboDigitale per esprimere il timore (o l’auspicio?) che il piano di digitalizzazione del Paese finisca sotto l’albero di fine anno. Per comprendere questo sentimento, che non è politico, basti pensare che di reti di telecomunicazione di nuova generazione (Ngn in gergo) si parla almeno dal 2006.

E se ne continua a parlare nella fatidica Agenda Digitale , che è stata avviata, è vero, contiene cose buone ma è ancora tutta da costruire. Come nei fatti saranno ridotti i costi della Pubblica Amministrazione con l’uso delle nuove tecnologie, come sarà condotta l’alfabetizzazione informatica del Paese è ancora tutto da capire. Di annunci, impegni e promesse il mondo digitale non sente più il bisogno.

È passato oltre un anno e mezzo da quando venne lanciato l’Appello per l’Agenda Digitale, sottoscritto da autorevoli nomi delle tlc, di Internet, dell’Università, dell'imprenditoria. E nonostante il dichiarato consenso generale poco o nulla è stato fatto. Neanche quegli interventi a costo zero (obbligare la Rai a fare trasmissioni di informazione sull’uso delle nuove tecnologie, eliminare i freni al commercio elettronico, prevedere un indirizzo di posta elettronica per ogni cittadino, trasferire le notifiche amministrative e giudiziarie su Internet solo per dirne alcune) che potrebbero avviare un percorso di evoluzione con importanti ricadute economiche e sociali.

Sulle start up il dibattito ferve da mesi. Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare sul tavolo del ministro Passera il rapporto della task force da lui voluta per definire un piano di intervento sul modello americano. Ma l’insoddisfazione e la frustrazione circolano anche tra chi ha risposto con entusiasmo all’appello del ministro.

Che dovrà fare i conti con una dura realtà: non si sa ancora dove trovare i 450milioni di euro necessari per passare dalle parole ai fatti. Adesso si attende il prossimo consiglio dei ministri, venerdì 31 agosto. Si dice che potrebbe essere quello che approverà i primi provvedimenti proprio sul fronte dell’Agenda digitale e delle start up. Tutti lo sperano. Sarebbe un bel modo per cominciare la ripresa. E per evitare nuove frustrazioni.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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