Unione-Europea
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Economia

Come salvare l'Unione Europea

Disfare l'euro è impossibile. Ma se non vogliamo che vincano i nuovi fascismi, dobbiamo rimettere al centro il principio di patria

Giulio Sapelli è docente di Storia economica all'Università di Milano

Ormai i nodi dell'Unione europea sono giunti al pettine. L'evidenza del dato dei vent'anni di non-crescita italiana, vent'anni in cui l'Italia è cresciuta dell'1,9 per cento (mentre la Germania cresceva del 30, la Gran Bretagna del 33, la Francia del 29, perfino la Grecia del 13,5) e le dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble svelano inequivocabilmente qual è il meccanismo reale che governa la costituzione materiale europea di oggi: l'ordo-liberalismo tedesco.

Pochi sanno cosa sia, pochissimi hanno capito che è la filosofia politica che governa oggi l'Europa. Trova le sue basi nell'opera Die Grundlagen der Nationalökonomie ("Le basi dell'economia nazionale", ndr) di Walter Eucken, che è appunto il manifesto dell'ordo-liberalismo: una scuola di pensiero di nobilissima matrice antifascista, che vedeva nella politica economica di Adolf Hitler una degenerazione del pensiero keynesiano, perché il Fuhrer aveva retto il suo governo con la spesa pubblica.

Quando la Germania perse la guerra e venne liberata dal nazismo, questi pensatori scolpirono nella loro costituzione il principio che non deve esserci alcuna forma di modulazione e integrazione del libero mercato. Configurarono così quindi un principio contrario al pensiero liberale, che non avrebbe mai inserito in una Costituzione una formula tanto costrittiva. Purtroppo questa follia è diventata la vera costituzione europea, quella calata nei trattati.

Il fiscal compact è l'applicazione logica alla politica economica europea della teoria ordo-liberale costruita dai tedeschi nella ricostruzione post-nazista. Ma gli altri Paesi europei non hanno avuto né l'iperinflazione, né la Repubblica di Weimar, né il nazismo, neanche l'Italia che ebbe qualcosa di simile ma molto distante.

Di fronte a questa impostazione, non importa né chi vinca le elezioni né chi si sottoponga a prove politiche come questo nostro referendum, che nulla hanno a che vedere con la maggioranza parlamentare eppure cambiano il potere situazionale di fatto.

Matteo Renzi ha fatto un errore catastrofico: ha reso manifesto che il potere di fatto che esprimeva in Italia era debolissimo, mentre era convinto di detenerne molto di più. Ne era convinto al punto da considerarsi in grado di negoziare con una tecnocrazia europea a guida tedesca, come se davvero avesse avuto dietro di sé oltre il 50 per cento del Paese, un errore tattico che ha rivelato però una non-comprensione del contesto, il contesto del potere ormai inamovibile della tecnocrazia europea.

Eppure lo ricordiamo tutti: quando nel novembre 2011 il leader greco George Papandreou annunciò un referendum sul rapporto con l'Europa, dovette dimettersi in pochi giorni.

Schauble ha più volte teorizzato che la politica economica europea deve andare avanti, quali che siano le politiche nazionali. Ebbene, Renzi ha sfidato la costituzione ombra dell'Europa. Non sapeva neanche che esistesse. Renzi, premier di un Paese che ha già messo nella sua carta fondamentale il vincolo di bilancio proprio a recepimento del principio dell'ordo-liberismo, ha sfidato i tedeschi e (dopo averli offesi ripetutamente, dicendo che la politica dell'austerità non ci stava più bene) ha perso.

Aggiungo che ha anche sottovalutato il presidente Sergio Mattarella, con questo suo annuncio delle dimissioni immediate: il premier è un servitore della Repubblica, non essendo stato sfiduciato dalle Camere, non avrebbe dovuto dimettersi.

Ora la domanda di molti riguarda innanzitutto dove andrà l'Unione europea. Io ritengo che andremo verso la vittoria diffusa delle destre nazionaliste, in Francia vincerà François Fillon, gollista, contro Marine Le Pen, in Olanda vincerà il candidato di destra. Si andrà, nell'insieme, verso un nuovo nazionalismo che lascerà attuabile solo la formula di un'Europa confederale.

Noi avevano finora vissuto e immaginato un'Europa con una politica economica che surrogava le politiche industriali nazionali nel senso di aiutarle e sostenerle, vivendole quasi come un oltraggio. Ora è cambiato tutto. L'ordo-liberalismo, acuito oltretutto dalla crisi bancaria, ha risvegliato i particolarismi nazionali. Arriviamo al dunque: se non vogliamo che vincano i nuovi fascismi, dobbiamo rimettere al centro il principio della patria, il principio gollista.

Prima viene la nazione, poi l'Europa. Altrimenti saremo schiacciati dalla rivolta di masse povere. Anche dall'esito del nostro referendum è emersa la rabbia del popolo degli abissi. Il modello gollista è compatibile con l'idea di un'Europa unita solo a condizione che essa adotti la formula confederale di impronta statunitense. Moneta unica, sì, ma libertà di bilancio.

La California fece default, ma aveva e conservò il dollaro. Ormai disfare l'euro è impossibile, implicherebbe una complicatissima disunione concordata: ci vorrebbero anni, forse decenni. È meglio tenersi questo benedetto euro, riformare la Bce sul modello della Fed (una banca centrale federale con rappresentanza di tutti gli Stati) e ripartire.

Ma per riuscirci bisogna fermarsi un momento e meditare: e finora nessuno l'ha fatto, neanche dopo la Brexit. Sarebbe stata necessaria una grande conferenza internazionale sulla Brexit e invece niente. Ma è l'unica strada percorribile: ripensare l'Europa in chiave confederale. (Testo raccolto da Sergio Luciano)

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Giulio Sapelli

Giulio Sapelli è professore ordinario di storia economica all’Università Statale di Milano

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