Montepaschi, Bankitalia e noi
Economia

Montepaschi, Bankitalia e noi

La Banca d’Italia ha scritto una puntuale relazione che ricorda tutto quel che ha fatto la vigilanza sul Monte dei Paschi di Siena, soprattutto dal momento in cui autorizza l’acquisto di Antonveneta nel marzo 2008. Il Financial Times, il New …Leggi tutto

La Banca d’Italia ha scritto una puntuale relazione che ricorda tutto quel che ha fatto la vigilanza sul Monte dei Paschi di Siena, soprattutto dal momento in cui autorizza l’acquisto di Antonveneta nel marzo 2008. Il Financial Times, il New York Times, la Reuters e altri giornali che influiscono sui mercati, si sono interrogati su controlli e controllori. Mario Draghi è corso a Milano per incontrare Grilli il giorno prima che il ministro dell’economia intervenisse in Parlamento. Che gli ispettori abbiano compiuto il loro dovere è testimoniato dai documenti che hanno firmato, poi finiti sui giornali. Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, era preoccupato per un acquisto da 9 miliardi (saliti a 10) da parte di un Monte che ne valeva 12, lo si deduce dal fatto che abbia richiesto aumenti sostanziosi di capitale.

La banca senese era sotto stress, è evidente dal modo in cui ha accresciuto le proprie risorse, spolpando la fondazione, ricorrendo a prestiti come il Fresh con JpMorgan (che è anche un suo azionista) e, ciononstante, restando in seria crisi di liquidità (lo conferma la relazione di palazzo Koch). Di qui l’affannoso ricorso ai contratti derivati, pasticciando un bel po’. Che stress. In mezzo qualcuno ci ha fatto la cresta, la banda del 5% (guidata da Gianluca Baldassarri, responsabile della finanza) s’è arricchita. Forse è circolata qualche prebenda per ungere le ruote o sostenere politici di riferimento (e i sospetti principali calano sul Pd). Chissà, prove per ora non ci sono. Ma, se al di là di tanta fuffa mediatica questo è il quadro della situazione, allora si aprono questioni molto importanti di politica bancaria ed economica, non teoremi giudiziari. E qui la banca centrale, il Tesoro, il governo Monti che ha salvato Mps, i partiti che si candidano a governare, debbono uscire dalla polemica di bottega e dire cose chiare.

1)  E’ finita l’era dirigista,  siamo contenti, ma la vigilanza deve chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, o può influenzare in modo corretto il funzionamento della banca e soprattutto scelte strategiche di grande portata? Che senso ha comminare sanzioni dopo quattro anni?

2)  Quanto sono davvero solide le banche italiane che hanno poco capitale, tanti crediti in soffenza e troppi titoli di stato in portafoglio?

3)  Come difendere i risparmiatori dal rischio che i loro depositi vengano bruciati in operazioni speculative? Davvero una banca al dettaglio può anche operare come banca d’affari o peggio ancora come un hedge fund? Nulla contro i fondi speculativi, purché siano gestiti da signori che mettono i loro soldi, rischiano e se perdono pagano.

4)  Chi paga, invece, per Mps? Siena in prima istanza. Qualcuno può dire che restituisce un po’ delle prebende distribuite in questi decenni. Ma pagano anche i contribuenti di tutt’Italia con un prestito, come lo ha chiamato Grilli, che però è un convertendo, cioè verrà trasformato in azioni se il Monte non sarà in grado di restituirlo. Insomma, diventiamo tutti azionisti grazie al fatto che la banca è stata mal gestita. C’è una logica in questa follia?

5)  Un riesame serio della febbre delle fusioni del 2006-2007 farebbe bene. Non solo perché oggi le banche valgono la metà di allora, ma perché bisogna capire se quei matrimoni hanno davvero reso più saldo e più efficiente il sistema bancario italiano. La stretta creditizia è solo effetto della recessione? O le banche non scuciono quattrini perché temono di restare all’asciutto, in un ambiente economico ancora dominato dalla sfiducia, nonostante il mega salvataggio della Bce?

6)  Le banche debbono aumentare il loro patrimonio. Finora le hanno puntellate le fondazioni che oggi non sono più in grado di farlo. Anche se fossero organismi tecnici, senza le intromissioni della politica, avrebbero comunque esaurito la loro spinta propulsiva. Il modello Amato-Ciampi è giunto al capolinea. Dunque, bisogna favorire un nuovo assetto della proprietà. Non esistono in Italia singoli capitalisti banchieri, tanto meno se si pensa a una taglia competitiva sul piano internazionale. Quindi occorre chiamare investitori istituzionali italiani e stranieri, i quali verrebbero (l’Italia è un grande mercato con un alto livello di risparmio) sapendo che si può fare banca, non assistenzialismo o clientelismo politico.

7)  Chi può compiere questa scelta strategica? Un governo serio,  insieme alla Banca d’Italia. Ma anche i sindacati (tra i killer del Monte ci sono pure loro), i partiti che debbono togliere le mani non solo dai redditi, ma anche dai risparmi dei cittadini. I quali, a loro volta, debbono punire alle urne chi fa solo propaganda o chiacchiere da caffè su una questione che riguarda davvero la vita di tutti noi e il futuro del paese.

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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