Acciaio, in Francia guasconi in Italia machiavellici
Economia

Acciaio, in Francia guasconi in Italia machiavellici

“Bugiardo, ricattatore, fuori dal territorio francese”. Chi sbraita in questo modo è un ministro della République , Arnaud Montebourg, titolare dell’industria (si chiama Redressement productif); il suo bersaglio è uno degli uomini più ricchi del mondo (n.21 nella lista) l’indiano …Leggi tutto

“Bugiardo, ricattatore, fuori dal territorio francese”. Chi sbraita in questo modo è un ministro della République , Arnaud Montebourg, titolare dell’industria (si chiama Redressement productif); il suo bersaglio è uno degli uomini più ricchi del mondo (n.21 nella lista) l’indiano Lakshmi Mittal che nel 2008 ha acquistato Arcelor, primo gruppo siderurgico francese con ventimila occupati. Sembrava una grande operazione, fiducia nella Francia di Sarkozy si disse. Ora la crisi si fa sentire e il maharajah dell’acciaio ha chiuso due altoforni nell’impianto di Florange con relativi licenziamenti. Il ministro, esponente dell’ala socialista radicale e no global, s’è fatto venire il sangue agli occhi. Tanto che François Hollande è stato costretto a convocato il reprobo all’Eliseo.

Cosa può fare Monsieur le Président? Non molto al di là di una ramanzina, certo non può espropriare un gruppo privato, né ci sono industriali francesi disposti a ricomprarsi un’impresa che il capitalismo d’oltralpe non era più in grado di mantenere in vita. Del resto, se il ministero si chiama Redressement productif è proprio perché c’è un bel po’ da risistemare. Tuttavia, politique d’abord, e la politica richiede anche di fare il volto dell’arme con i patron, nazionali o stranieri che siano. Così funziona in Francia.

“Venite da noi miei cari amici”, si diverte il sindaco di Londra Boris Johnson, conservatore e liberista. Ma in realtà anche il governo di Sua Maestà è sceso spesso pesantemente in campo soprattutto quando si è trattato di salvare le banche che sono il pilastro della City e della intera economia britannica. I laburisti hanno nazionalizzato e i tory ipocritamente si sono turati il naso, poi hanno fatto buon viso a cattivo gioco.

Statalismo interventista? Vediamo cosa succede in Italia, anzi esattamente a Taranto. E’ di nuovo l’acciaio la pietra dello scandalo. Un settore industriale ad alti costi e ad alto rischio, sporco ingombrante, che quasi tutti i paesi ricchi, satolli, rispettosi dell’ambiente della salute hanno scaricato sui paesi affamati che s’affannano per uscire dal sottosviluppo. Perché di acciaio c’è bisogno e sempre di più nella economia moderna. Allora ci pensino i dannati della terra a salvare la salute e l’industria dei satolli europei.

Il caso dell’Ilva è diverso da Arcelor-Mittal. Qui c’è una crisi ambientale e là una crisi produttiva. In Italia è stata la magistratura ancora una volta a far da supplenza. Quando è scoppiata la grana giudiziaria, il governo ha delegato tutto al ministro dell’ambiente e Corrado Clini ha tentato di salvare capra (la produzione) e cavoli (la salute). Adesso siamo alla resa dei conti. E come al solito si rimesta nella melma di scarico pubblicando telefonate quanto meno ambigue dei Riva e dei loro manager con il governatore pugliese, ecologista e rosso, Niki Vendola, o le pressioni sul leader del Pd, Pierluigi Bersani, attento a non turbare i sindacati, ma anche a tener lontano un boomerang micidiale in tempi di elezioni.

In Sardegna con l’Alcoa e le miniere del Sulcis il governo ha tenuto duro e, nonostante le proteste dei lavoratori, ha scelto la logica di mercato. Quelle attività non reggono così come sono e non possono essere sovvenzionate in eterno. Nel caso dell’Ilva, il padron delle ferriere ormai agli arresti è paralizzato. Gli operai occupano gli impianti e vogliono difendere, naturalmente, il loro posto di lavoro. Le autorità locali, quelle non colluse con l’Ilva, restano attonite e smarrite. Il governo teme che tutto finisca con aiuti di stato più o meno mascherati per tamponare l’emergenza. Non ha i soldi per farlo e nemmeno la voglia.

Ci vorrebbe un ministro alla Montebourg? Grazie no, anche se  i Riva hanno dimostrato di non essere in grado di gestire l’acciaieria più grande d’Europa. Quando erano dello stato (cioè della Italsider) gli impianti venivano affidati a tecnici e ingegneri giapponesi. E filavano a meraviglia (sia pur nascondendo sotto la sabbia le schifezze inquinanti). Adesso chi se la piglia la colata bollente?

E’ tutto molto complicato e chi pensa di avere una soluzione è un millantatore. Però, pur senza le guasconate socialiste, bisogna che la questione venga affrontata sul piano politico, e tocca a Corrado Passera aprire un altro degli innumerevoli tavoli di crisi. Al ministro dello sviluppo, non resta che rileggere il Principe di Machiavelli e capire come usare la forza del leone e l’astuzia della volpe, per diradare i miasmi tarantini.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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