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ANSA/DIEGO AZUBEL
Economia

Cina, adesso che va come una lumaca fa ancora più paura

Debito pubblico alle stelle, bolla immobiliare e pil in contrazione: quali conseguenze può avere nel mondo il rallentamento dell’economia di Pechino

La crisi mondiale ha rallentato il modello economico basato sulle esportazioni, consegnando nei fatti alla storia "la fabbrica del mondo". Al resto hanno pensato investimenti poco redditizi, una produzione industriale da ricalibrare e rendere più innovativa, un debito pubblico che rischia di innescare una clamorosa crisi finanziaria, la bolla immobiliare sempre pronta a scoppiare e una tensione sociale che aumenta di pari passo con la diseguaglianza economica.

È il quadro reale, impietoso, dell’economia cinese, che ormai mostra segni di affaticamento. Dopo vent’anni di crescita a doppia cifra, dopo il decennio dorato di Hu Jintao e Wen Jiabao, e dopo la sbornia olimpica, la Cina per la prima volta dal 1990 crescerà solo al 7,5 per cento. A preoccuparsi non sono solo i cinesi, bensì il mondo intero. Anche perché, secondo alcuni economisti, l’aumento del pil potrebbe perfino essere inferiore.

Il ministro delle Finanze, Lou Jiwei, si è affrettato a rassicurare che neppure con una crescita del 6,5 per cento ci sarebbero problemi. Gli economisti della Barclays, invece, stanno analizzando gli scenari, definiti "angoscianti", di una crescita cinese che si fermi al 3 per cento. Particolarmente inquietante è la decelerazione  complessiva dell’economia del Dragone: secondo il sondaggio mensile della banca Hsbc, l’indice d’acquisto del manifatturiero, il termometro della produzione che  sotto al livello 50 indica una contrazione dell’economia, è sceso al 47,7 a luglio (a giugno era del 48,2). Nel mese scorso sono calate anche le esportazioni (meno 3,1 per cento) e le importazioni (meno 0,7 per cento). 

Il cattivo stato dell’economia cinese è segnalato dall’aumento clamoroso del debito pubblico, per lo più dovuto alla pessima gestione degli investimenti dei governi locali. Secondo Li Youhuan, economista dell’Accademia delle scienze sociali, "il passivo delle amministrazioni pubbliche, collegato al settore immobiliare, minaccia di ostacolare la crescita economica. I debiti dei governi locali sono il secondo fattore di rischio più grave, insieme all’immobiliare, per una potenziale crisi finanziaria in Cina".

Michael Pettis, professore di finanza alla Peking University, tuttavia non ritiene che la frenata della Cina possa essere una minaccia mondiale. "Enormi sfide attendono Pechino" sottolinea. "La crescita della Cina è stata positiva per le grandi imprese, per lo stato e l’élite ricca. Quello che il governo cinese deve fare è ricalibrare lo sviluppo, in modo che il reddito medio delle famiglie possa salire e i consumatori nazionali abbiano più soldi da spendere". È a questo che pensa Li Keqiang, il primo ministro cinese. Fautore della cosiddetta "Likonomics", il  premier propone una ricetta economica basata sui controlli dei prestiti, sui minisostegni statali per la ripresa (al contrario di quanto accaduto in passato) e sullo sviluppo del mercato interno. Tre pilastri su cui fondare l’alchimia più difficile per l’economia e per l’intero sistema Cina: trasformare la quantità  in qualità. 

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Simone Pieranni