Banche: perché hanno bisogno dello scudo di Stato
ANSA/CLAUDIO PERI
Economia

Banche: perché hanno bisogno dello scudo di Stato

Il crollo delle borse della scorsa settimana ha spinto il governo a dare un segnale ai mercati che vedono ancora rischi nel sistema creditizio italiano

I dettagli ancora non si conoscono e le indiscrezioni si accavallano. Ma il solo l'annuncio di un via libera dell'Unione Europea a uno scudo di stato a favore delle banche italiane ha subito dato sprint alla borsa di Milano, che ieri a chiuso le contrattazioni in rialzo dell'1,57% e che oggi, in tarda mattinata, avanza di un più modesto 0,2%. Merito appunto delle notizie in arrivo da Bruxelles dove la Commissione Europea ha approvato (in via preventiva) uno schema di garanzie del governo italiano a favore del sistema creditizio nazionale, per un ammontare fino a 150 miliardi di euro (per un periodo di 6 mesi). Detto in soldoni, se qualche banca a sud delle Alpi si troverà a corto di liquidità e non riuscirà a far fronte alle richieste dei depositanti o alle scadenze, potrà emettere nuovi bond senior, cioè nuovo debito che ha come garante il governo di Roma. L'intervento statale, dunque, è un semplice paracadute: né il premier Renzi, né il ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, si augurano di doverlo mai usare. E allora perché, viene da chiedersi, hanno preparato questo pacchetto di misure?


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A convincerli è stato senz'altro il venerdì nero delle borse del 24 giugno scorso. Dopo l'esito del referendum del 23 giugno con cui la Gran Bretagna ha deciso di uscire dall'Ue, il listino di Milano sembrava essere diventato all'improvviso il ventre molle dell'Europa, registrando un ribasso di oltre il 12% in una sola seduta, cosa mai avvenuta prima nella storia. Mentre tutto il marcato finanziario italiano crollava, i titoli delle maggiori banche nazionali come IntesaSanpaolo perdevano oltre 20 punti percentuali, benché la Brexit (l'uscita di Londra dall'Ue) abbia ben poco a che fare col loro business. Colpendo le banche italiane, però, i mercati dimostravano di temere qualcosa di ben più grave della Brexit: la fine del sogno europeo e il disintegrarsi dell'Eurozona, proprio come temevano qualche anno fa di fronte allo spettro di una Grexit (l'uscita della Grecia dall'Unione Monetaria).


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Per questo, la speculazione si è indirizzata come sempre sui paesi più deboli dell'Eurozona, a cominciare dall'Italia che ha un debito pubblico enorme. A differenza di qualche anno fa, quando a esser colpiti furono soprattutto i nostri bond di Stato, nel mirino sono finite questa volta le banche. I Buoni del Tesoro italiani, come quelli di tutti gli altri paesi, sono infatti sotto l'ala protettiva della Banca Centrale Europea e del suo quantitative easing, che ogni mese  prevede l'acquisto di decine di miliardi di euro di titoli e ne sostiene le quotazioni. Visto che le banche italiane sono piene di problemi e hanno un bel po' di sofferenze nei bilanci, occorre  dunque dare un segnale ai mercati proprio su questo fronte e occorre far presente che, anche nel caso in cui qualche istituto avesse problemi di liquidità, ci sarà il salvagente pubblico a sostenerlo.


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Ma quanto è probabile che una grande banca italiana incontri problemi di liquidità? Per adesso non è molto probabile , almeno si spera. Di fatto, però, i ribassi in borsa della scorsa settimana hanno fatto aleggiare lo spettro di una nuova crisi sistemica come quella del 2007-2008. Oggi, però, gli istituti di credito italiani sarebbero ben più vulnerabili, dopo una crisi durata 10 anni che ha fatto lievitare le loro sofferenze. Va sottolineato, però, un particolare importante: con questo nuovo scudo (che esiste già anche in altri paesi come Cipro e il Portogallo) non vengono certo risolti tutti i problemi delle banche italiane. La garanzia governativa che ha ottenuto il via libera dall'Ue, infatti, vale solo per l'approvvigionamento di liquidità e non per le operazioni di aumento di capitale. Il guaio è che molti istituti di credito del nostro paese, oltre a essere esposti al rischio della speculazione sui loro titoli, avrebbero proprio bisogno di una bella dose di capitali per irrobustirsi.


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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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