Uber
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Economia

Uber, i dubbi e le incognite sul futuro

Posizioni manageriali vacanti, battaglie legali, il ruolo di Kalanick, la crisi di motivazione e valori interna all'azienda. Ma i conti, per ora, tornano

Dara Khosrowshahi ha confessato di essere preoccupato. In una lettera scritta ai dipendenti di Expedia all’indomani dell’ufficializzazione del nuovo incarico, il manager ha espresso la speranza di poter fare la differenza anche in un Uber e, possibilmente, per il meglio.

La verità è che il futuro della compagnia di trasporto privato non è ancora scritto e l’ago della bilancia potrebbe pendere in entrambe le direzioni. 

Management assottigliato

Khosrowshahi, infatti, si trova davanti una serie di situazioni spinose con cui fare i conti, a partire da una mancanza preoccupante di top manager. Fra le posizioni attualmente vacanti, infatti, ci sono quelle di chief financial officer, chief operating officer, chief marketing office, general counsel e senior vice-president of engineering. 

Gli appuntamenti in tribunale

In agenda ci sono diverse battaglie legali, a partire da quella con Google per il furto di proprietà intellettuale di auto che si guidano da sole. E poi, accuse di sessismo e molestie a cui potrebbero fare seguito nuove contestazioni e un’inchiesta del governo britannico che vuole fare luce sul cosiddetto “Greyball”, un tipo di software capace di evitare i controlli dei regolatori in aree in cui le auto del gruppo non possono circolare.

Occhi puntati sulla trimestrale

Nel secondo trimestre dell’anno, le prenotazioni sono cresciute del 17%, con un giro d’affari da 8,7 miliardi di dollari negli Stati Uniti. Nel mondo, le richieste hanno segnato +150%, evidenzia Axios. Le perdite, invece, sono scese a 645 milioni di dollari, un calo del 9% sul trimestre corrispondente. Considerato il terremoto a livello manageriale che ha impattato su Uber nel corso dell’estate, è possibile che i numeri del terzo trimestre saranno meno incoraggianti.

La variabile Kalanick

La missione di Khosrowshahi sarà complicata anche dalla presenza un po’ troppo ingombrante di Travis Kalanick che, - per citare il Telegraph - “continua a comportarsi come un adolescente stizzoso”. Nonostante le dimissioni, infatti, l’ex ceo mantiene un forte potere azionario, tanto che Benchmark Capital, uno fra i principali finanziatori dell’azienda, l’ha citato per frode. Stando all'accusa, Kalanick avrebbe tentato di influenzare il consiglio di amministrazione per preparare il proprio ritorno.

La nuova identità del gruppo

Secondo The AtlanticKhosrowshahi è il logico successore di Kalanick. Per storia e stile manageriale, il nuovo ceo ha i numeri, come leader più pacato e meno accentratore, per compensare le mancanze del fondatore. Alla fine, Uber potrà assomigliare più a Expedia, un player importante, ma non un gigante della tecnologia come Amazon. Se Uber dovesse orientarsi in questa direzione, con una forza lavoro più soddisfatta e conti in salute, per  The Week potrebbe essere un cambio accettabile per tutte le parti. 

Il pedigree finanziario

Fra gli elementi che giocano a vantaggio di Uber, sottolinea Forbes, c’è il fatto che Khosrowshahi provenga dal settore finanziario e non dalla Silicon Valley e, dunque, sia privo di alcuni fra i tratti caratteristici meno amati degli imprenditori tecnologici ,come una forma mentale aggressiva e indifferente ai diritti delle persone e ai regolamenti. Questa potrebbe essere un’importante carta da giocare in vista della quotazione che, stando al Guardian, potrebbe avere luogo fra 18 - 36 mesi.

Un marchio disfunzionale

Infine, c’è la variabile del brand valutato 70 miliardi di dollari. Con 40 milioni di utenti al mese, è un servizio che innegabilmente funziona. Ma se la comunità esterna non è in crisi, i valori interni godono di pessima salute. È proprio questa discrepanza che il nuovo management è chiamato a sanare, mettendo a punto una narrativa meno dirompente e più rispettosa dei valori. 

Per saperne di più

- Ecco come Uber intende rilanciare la propria immagine

- Così Uber ci ha cambiato la vita


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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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