Telecom - 3Italia, la sfide della fusione
Economia

Telecom - 3Italia, la sfide della fusione

L'esito non è scontato ma il tentativo è reale. Ecco le partite in gioco per il matrimonio tra i due colossi della telefonia

Gli azionisti di Telecom Italia non hanno intenzione di lasciare mano libera a Franco Bernabè nelle trattative per l’eventuale acquisto di 3 dal colosso di Hong Kong Hutchison Wampoa . Vogliono vederci chiaro e per questo hanno messo all’opera un terzetto con il compito di affiancare il presidente della loro controllata. Non si tratta di nomi qualsiasi ma di personaggi al vertice delle diverse compagnie: Gabriele Galateri di Genola per Generali, Elio Catania per Intesa SanPaolo e soprattutto Julio Linares per Telefonica, che più di ogni altro può avere motivi per far saltare l’operazione. Il livello dei nomi indica chiaramente che la faccenda è presa sul serio. Non si scomodano personaggi di quel calibro per un tentativo di facciata.

L’esito del cda dice dunque che l’esito non è affatto scontato, ma il tentativo è reale. Da questo punto di vista è utile un paragone con l’offerta presentata qualche mese fa dal magnate egiziano Naguib Sawiris , che il cda non prese neppure in considerazione. Ora le cose sono diverse. Anche perché Bernabè e il proprietario di 3, Li Ka Shing si conoscono, abbastanza bene, avendo collaborato a mettere in piedi la compagnia telefonica Andala (antecedente della 3) circa 10 anni fa, dai cui poi Bernabè uscì, lasciando campo libero al magnate di Hong Kong. Non guasta neppure il fatto che quest’ultimo sia uno degli uomini più liquidi di tutto l’estremo oriente, e dunque perfettamente in grado di dar vita a un’operazione di grande respiro, che in prospettiva potrebbe anche portarlo a diventare il principale azionista di Telecom Italia, accollandosi la sua parte del debito che ne appesantisce da anni il cammino.

Certo non è un puzzle semplice da mettere a posto, perché a quel tavolo sono rappresentate esigenze diverse e in parte contrastanti: chiudere un investimento rovinoso con le minori perdite possibili per Generali, Mediobanca e Intesa (e più ancora degli investitori più piccoli come la Findim di Marco Fossati); mantenere una posizione strategica dal punto di vista del business per la compagnia spagnola Telefonica, che ha interessi in concorrenza con Telecom Italia in Sudamerica. Senza trascurare, naturalmente, le ricadute industriali, ancora tutt’altro che chiare, che dovrebbero stare a cuore a tutti.

È più che lecito avanzare dubbi sulla reale portata della fusione fra Telecom e 3, come ha fatto apertamente lo stesso Fossati, parlando di mera mossa tattica. Né si può escludere che tutto si risolva alla fine in un bieco vantaggio fiscale, ottenuto scaricando le perdite di 3 sugli utili di Telecom per pagare meno tasse. Quale che sia l’interesse immediato dei protagonisti, tuttavia, non c’è alcun dubbio che se va in porto questa operazione avrà conseguenze di lunga durata.

L’eventuale accorpamento di 3 in Telecom (con contestuale acquisto di una quota importante di azioni Telecom da parte di Li Ka Shing) cambierebbe inevitabilmente la natura dell’ex monopolista telefonico. Neppure in un paese malandato come l’Italia, infatti, è ragionevole che si lasci la rete di telecomunicazioni in mano a un operatore straniero, extraeuropeo, in stretti rapporti con un governo pesante come quello cinese. La prima conseguenza dovrebbe essere dunque la cessione della rete alla Cassa depositi e prestiti (per definire la quale il cda ha tempestivamente dato mandato al management, altro segnale che si fa sul serio), che trasformerebbe la nuova Telecom italocinese in una società di servizi. Per quanto veloce possa essere il meccanismo che si è appena messo in moto, è prevedibile che la partita aperta in questi giorni non sarà chiusa tanto in fretta.

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Stefano Caviglia