Startup, tre consigli (e un concorso) per trovare i soldi
Economia

Startup, tre consigli (e un concorso) per trovare i soldi

Tenacia, professionalità e umiltà. E il programma Seedlab che mette in palio 1,5 milioni di euro

Mai tirarsi indietro. Essere molto professionali. E soprattutto umili. Sono i tre consigli di un investitore professionale ai giovani di belle speranze imprenditoriali. Nicola Redi è Chief Investment & Technology Officer di TTVenture, fondo di capitale di rischio creato nel 2008 da diverse casse di risparmio che nella sua home page promette: "noi ci prendiamo cura di realizzare i vostri sogni".

Per farlo ha lanciato anche un "concorso" che mette in palio un milione e mezzo di euro per 20 giovani con idee innovative. Il programma si chiama Seedlab e c’è tempo fino alla fine di marzo per entrare in gara. L’anno scorso arrivarono un centinaio di proposte e ne furono selezionate 14. Quest’anno saranno di più, 20, e qualcuna è stata già promossa. "Una, modenese, attiva nel settore biomedicale. Era troppo interessante per lasciarsela scappare", accenna appena Redi che tiene a ricordare che Seedlab "è una nostra iniziativa ma è aperta ad altri investitori". Anche perché c’è da mettere insieme capitali per almeno 500mila euro, mentre l’altra parte del “premio” viene viene consegnata sotto forma di consulenza, servizi, assistenza. Ci sono poi anche quattro borse di studio da 25mila euro messe a disposizione dalla Cassa di Risparmio e la Camera di Commercio di Lucca per start up che si integrino nel polo tecnologico lucchese, appunto.

"Agiamo più da acceleratore che da incubatore", dice Redi. In altre parole, anche se compare la parola seed (seme), non si punta a idee da sviluppare ma a imprese già nate e che abbiano bisogno di una spinta per decollare. Infatti Seedlab non prende quote di partecipazione ma solo un’opzione, aspettando di capire il valore che il mercato darà alla società. "In Italia ci sono più di mille 1000 spin off della ricerca universitaria, società nate dal lavoro svolto nei laboratori accademici ma che non sono riuscite a crescere come forse avrebbero meritato. Ecco noi vorremmo dare un’occasione a realtà come queste". Anche perché TTVentures, pur spaziando dai media digitali alle tecnologie industriali, ha una preferenza per l’innovazione applicata ai processi produttivi e alla ricerca di base. Forse anche questo spiega un dato interessante: quasi il 60% dei progetti presentati l’anno scorso arrivava dal Mezzogiorno. E la tendenza è confermata quest’anno. A dimostrazione che anche al Sud ci sono centri di eccellenza capaci di produrre innovazione.

I rischi restano sempre alti, ma c’è anche ce la fa.  "Almeno la metà delle imprese muoiono strada facendo", ricorda Redi. "Ma delle 14 startup selezionate l’anno scorso quattro hanno già chiuso con altri fondi, una negli Stati Uniti". Ma allora è possibile trovare chi finanzia le proprie idee? "Sì gli investitori ci sono, anche per i progetti in fase embrionale", risponde sicuro Redi. "La prima regola è mai tirarsi indietro e non farsi prendere da pensieri del tipo: in Italia non si può fare, in Italia non ci sono i soldi. Però bisogna anche essere molto professionali, informarsi sui soggetti a chi si vanno a chiedere capitali, sapere cosa vogliono. L’altro consiglio che mi sento di poter dare è: siate pronti ad ascoltare. Mai mettersi muro contro muro, essere gelosi del proprio progetto, vedere l’investitore come un intruso da cui difendersi. Gli investitori danno anche molti consigli e hanno tutto l’interesse a far venire fuori il meglio dal progetto e da chi l’ha pensato".

Conquistato l’investitore, però serve oltre a tanta fatica anche una buona dose di pazienza: "L’exit, la vendita della start up, ha tempi lunghi. Una grande azienda impiega 12/18 mesi dal primo contatto, che avviene dopo che la start up è decollata, per prendere una decisione. Per noi quindi è normale che una start up resti in portafoglio anche 5 anni, soprattutto nel settore delle tecnologie industriali".

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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