Sergio Marchionne
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Economia

Sergio Marchionne: il totonomine sull'erede e le grandi manovre in Fca

Nonostante i rinvii si avvicina la data in cui il manager in pullover dovrà lasciare la superpoltrona. Vorrebbe essere lui a indicare il successore e lo stesso vorrebbe fare John Elkann. Ecco cosa succede nella casa automobilistica fondata dagli Agnelli ma ormai italo-americana, in vista della presentazione del piano industriale 2018-2022

Se lui va chi resta e se resta chi va? Un rompicapo, quasi un dilemma dantesco, divide non solo la Fiat Chrysler, ma la comunità degli affari. Per ben tre volte Super Sergio, come amano chiamarlo sia gli estimatori (con trasporto) sia i detrattori (con sarcasmo), ha annunciato la sua uscita: doveva avvenire nel 2014 alla scadenza di un decennio d’oro, poi nel 2018, adesso giura che se ne andrà nel 2019.

Nelle grandi imprese multinazionali, comprese le Big Three di Detroit, la successione viene preparata per tempo e decisa almeno un anno prima, così è avvenuto alla General Motors, alla Ford, alla stessa Chrysler prima che finisse in bancarotta. Invece, alla Fca il capo non riesce a staccarsi dalla sua poltrona dorata e, dopo aver bruciato molti pretendenti, non lascia eredi. "Fidatevi", ha detto John Elkann agli azionisti, il 18 aprile, ammettendo le difficoltà: "Stiamo lavorando con il consiglio di amministrazione, troveremo la persona adatta, capace, dedicata".

In attesa del piano industriale 2018-2022 

Ma schiodare Marchionne può significare un salto nel buio. Tutti attendono un po’ di chiarezza con il piano industriale 2018-2022 che viene presentato l’1 giugno nella cascina vercellese Bella Luigina dove un tempo venivano collaudate le Alfa Romeo. Intanto scoppiano già le polemiche sull’addio all’Italia delle produzioni di massa per concentrarsi sull’alta gamma che oggi copre i due terzi della produzione arrivata nel 2017 a circa 750 mila vetture con 23.500 occupati.

Emigra la Punto in Polonia, chiudono i battenti Punto e Mito, restano Jeep, Alfa, Maserati, 500X, ma i sindacati temono pesanti effetti sui posti di lavoro. Marchionne ha salvato la Fabbrica italiana automobili Torino nel 2004, poi l’ha sciolta nell’abbraccio con Chrysler nel 2009, adesso lo stesso marchio Fiat è in via d’estinzione, resteranno solo Cinquecento e Panda, tutto il resto sarà Jeep. John Elkann, al quale Gianni Agnelli ha affidato la centuria di famiglia, amerebbe concentrarsi su finanza e informazione, portando a termine con profitto l’emancipazione dall’automobile. Ma giornali e scatole cinesi non bastano a mettere insieme un fatturato da 140 miliardi (a tanto è arrivato il gruppo Exor).

La misteriosa storia di Sergio Marchionne

Molti misteri avvolgono da sempre il manager spuntato dal nulla che ha lasciato il doppio petto per il maglioncino nero. Sulle sue origini sono fiorite leggende come sempre accade con la fama e il potere.
È nato a Chieti nel 1952, ma il padre Concezio, carabiniere, era tornato in Abruzzo dall’Istria quando Tito aveva lanciato le persecuzioni contro gli italiani, per poi emigrare in Canada.

Oscuro resta ancor oggi il grande salto al vertice Fiat: a lanciarlo fu Umberto Agnelli o Gianluigi Gabetti come egli stesso ha rivelato recentemente? Nessuno ha spiegato fino in fondo in che modo abbia convinto Barack Obama a cedergli la Chrysler senza sganciare un centesimo. Bastò davvero l’intervento di Henry Kissinger? Appartata, se non proprio segreta, anche la sua vita privata, divisa tra due continenti e quattro Stati (Canada, Usa, Italia, Svizzera), una ex moglie, due figli, una nuova compagna, Manuela Battezzato, che viene dall’ufficio stampa del gruppo, un colpo di fulmine scoccato sei anni fa.

La storia della Fiat coincide con la famiglia Agnelli, eppure la sua vicenda industriale è scandita da tre uomini forti che hanno guidato e tenuto a galla l’azienda. Vittorio Valletta l’ha resa potente e l’ha salvata prima dai tedeschi che nel 1944 avevano deciso di portarla in Germania, poi dai comunisti che la volevano affidare agli operai, infine dagli alleati anglo-americani che intendevano chiuderla. Cesare Romiti, il proconsole inviato da Enrico Cuccia, l’ha difesa dal terrorismo rosso e dagli errori dei fratelli Agnelli. Infine Marchionne, che l’ha presa quando ormai era in liquidazione dopo la morte, nel giro di poco più di un anno, di Gianni e Umberto Agnelli.

La poltrona di primo impiegato (così si definiva Valletta) ha consumato fior di capitani d’industria: da Carlo De Benedetti a Vittorio Ghidella, da Paolo Cantarella a Paolo Fresco e poi Giuseppe Morchio, ma ora è tornata oggetto del desiderio.

I possibili eredi di Super Sergio

La caccia al sostituto si svolge su binari paralleli: Marchionne gira l’America con la lanterna di Diogene per trovare il vero erede, Elkann allarga lo sguardo a più ampio raggio, coinvolgendo l’intero consiglio di amministrazione, come ha tenuto a far sapere.
A Super Sergio non dispiace saltare una generazione: un capo giovane deve tutto al proprio mentore che mantiene, così, un droit de régard. Elkann nell’autunno scorso ha incontrato Luca De Meo oggi presidente della Seat, la consociata spagnola della Volkswagen. Il manager milanese, tra gli artefici del rilancio della Fiat, dopo una faticosa convivenza con Marchionne, nel 2009 aveva colto al volo l’offerta tedesca. Il colloquio ha subito riacceso l’attenzione su un eventuale matrimonio da sempre rinviato, anche se Elkann ha precisato che il nuovo amministratore delegato lavora già nella Fca.

Da tempo si parla di Richard Palmer, inglese che guida la finanza, o Mike Manley, capo della Jeep ,il marchio di maggior successo. E poi c’è Alfredo Altavilla che ha seguito l’acquisizione della Chrysler e ora presidia Europa e Medio Oriente. Il suo ingresso nel consiglio di amministrazione della Tim ha fatto pensare a un modo elegante per allontanarlo, ma per il momento è solo una speculazione. Sono cresciute le chance di Pietro Gorlier, amministratore delegato di Magneti Marelli, l’azienda di componentistica che potrebbe essere scorporata, quotata in Borsa e magari ceduta. Mentre Reid Bigland responsabile vendite e Tim Kuniskis, l’altro nuovo capo di Alfa e Maserati, sono stati recentemente promossi in vista della successione.

È spuntata anche l’ipotesi rosa. Le due donne in cima alla lista sono l’americana Linda Knoll, responsabile del personale a livello globale, e la cinese Daphne Zheng, che guida le operazioni nel primo mercato mondiale per l’automobile. Entrambe fanno parte del Gec (Group executive council) di Fca, il direttorio che decide le strategie dell’azienda. Tuttavia, hanno bisogno di tempo. Marchionne ha escluso di lasciare a una donna il bastone del comando, la pensa così anche Elkann?

Il vertice rosa in casa madre Exor

Il soffitto di vetro potrà essere infranto proprio nella casa madre Exor. Le voci sono state rilanciate dal cambio al vertice del gruppo Espresso che ora si chiama Gedi. Al ruolo di capo azienda è stata chiamata Laura Cioli, ricca di esperienze, l’ultima alla Rcs.

Monica Mondardini, incappata anche in una inchiesta per truffa all’Inps provocata dal ricorso a prepensionamenti, è passata al gruppo Cir, holding della famiglia De Benedetti. Entrambe potrebbero giocare un ruolo importante nel momento in cui maturerà la fusione a lungo annunciata tra il gruppo Espresso-Repubblica e la Stampa con annesso Il Secolo XIX. A quel punto, l’azionista di riferimento diventerebbe Exor che ha l’ambizione di costruire un polo dei media con l’Economist per il quale ha sborsato ben 405 milioni di euro nel 2015. Elkann siede da anni nel consiglio della News Corporation di Rupert Murdoch, mentre ha intrecciato colloqui con Michael Bloomberg alla ricerca di un rilancio nel campo dell’informazione e dei servizi finanziari.

Successi e traguardi mancati di Marchionne in Fca

Abile nell’uso dei messaggi, Marchionne è riuscito a far salire il titolo in un anno da 10 a 17 euro garantendo pingui dividendi agli azionisti e alla famiglia Agnelli. La Fca macina utili (oltre un miliardo di euro nel primo trimestre 2018, più di Gm, nonostante un calo dei ricavi) e viene lodata da Donald Trump perché crea posti di lavoro negli Usa ("Il mio uomo preferito è nella stanza", ha detto il presidente americano indicando il manager italo-canadese), però resta debole in Europa e non ha mai sfondato in Cina.

Toccata dallo scandalo sulle emissioni (anche se non come Volkswagen) ha una serie di contenziosi con le autorità americane. Dopo aver snobbato il motore ibrido e la vettura elettrica, Marchionne ha stretto accordi con Google e si leva il cappello di fronte alla Tesla del visionario Elon Musk (come faceva Henry Ford davanti a un’Alfa Romeo), perché il futuro dell’auto si gioca oggi nella Silicon Valley. Tuttavia, Fca è solo un subfornitore di Waymo nata dal progetto Google per l’auto senza conducente.

Il gruppo non ha raggiunto la soglia di sicurezza: con 4,8 milioni di vetture è all’ottavo posto al mondo, ben lontano da quota dieci milioni oltre la quale competono Volkswagen, Toyota e Renault-Nissan. Inoltre si porta dietro i debiti che dovrebbero essere smaltiti l’anno prossimo: a questo obiettivo è legato il super bonus del capo azienda e la speranza di convolare a nozze con un altro grande produttore. Cadute via via Peugeot e General Motors, è spuntata brevemente la cinese Great Wall (Grande Muraglia), mentre la Volkswagen è interessata soprattutto a Jeep e ai segmenti sportivi.

Lo smacco della Formula uno

Lo smacco più clamoroso riguarda la Formula uno. Luca di Montezemolo ha inanellato 19 titoli iridati tra piloti e costruttori, Marchionne lo ha defenestrato nel 2014, ma il cavallino rampante non ha centrato nemmeno un mondiale. La vettura è migliorata, tuttavia rimane l’eterna seconda, superata dalla Mercedes e insidiata dalla scuderia Red Bull. Ricchissimo (lo scorso hanno ha guadagnato 10 milioni di euro, nove volte in più di John Elkann) eppure insoddisfatto, il manager in pullover si guarda intorno.

Potrebbe comprarsi la Ferrari, ma davvero Elkann gli cederà il gioiello sul quale costruire una boutique del lusso? Si è parlato di un ruolo rilevante nella plancia di comando della Exor, dove però vivrebbe di luce riflessa. E la politica? Dopo aver appoggiato apertamente Matteo Renzi, lo ha scaricato e ha socchiuso l’uscio al Movimento 5 stelle: «Abbiamo visto di peggio», ha dichiarato.

Il giudizio degli esperti su Sergio Marchionne

Considerato un tempo il campione dell’Italia che sconfigge la crisi, su Marchionne prevale ora un giudizio più sfumato. "Ha dovuto cedere alle esigenze della famiglia, perché l’azienda è stata fatta a spezzatino in modo da massimizzarne il valore" commenta Fulvio Coltorti, storico capo ufficio stampa di Mediobanca e ora docente alla Cattolica di Milano. "Sono emigrate in Olanda la casa madre e l’accomandita di famiglia, sono state spostate anche Ferrari e Cnh (macchine movimento terra). Sembrano scatole pronte per essere vendute".

Secondo Riccardo Ruggeri, ex manager Fiat, "Marchionne ha sempre detto che il suo unico obiettivo è creare valore per gli azionisti. Più che un uomo di industria è un deal maker, abilissimo nel combinare affari". È vero, spiega Giuseppe Berta, docente di storia economica alla Bocconi e profondo conoscitore del mondo Fiat, "è un grande negoziatore e un grande aggregatore, ma la sua sinfonia resta incompiuta. Purtroppo, Angela Merkel disse di no all’unione tra Fiat-Chrysler e Opel che avrebbe garantito il salto di qualità. E lo stesso è accaduto, finora, con Gm".

Forse assisteremo a un coup de théatre, magari Marchionne tiene un asso nella manica e John Elkann una sorpresa in uno dei suoi sgargianti gilet. A Detroit scommettono che il copione cambierà ancora: la mappa mondiale dell’auto si sta delineando, la Fca ha fatto moltissimo per stare in gara, tuttavia rimane lontana dal podio. 


(Articolo pubblicato sul n° 23 di Panorama in edicola dal 24 maggio 2018 con il titolo "Fiat voluntas Sergii")

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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