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Economia

Perché alle Pmi interessa industria 4.0

Una ricerca su un campione di 253 aziende del comparto manifatturiero meccanico rileva soprattutto le attese di balzo in avanti dopo gli stanziamenti 2018-2020

Alle pmi piace il Piano nazionale 4.0, anche se non esclude la necessità di miglioramenti. Ha dirlo la ricerca sull’Industria manifatturiera meccanica realizzata da "Grs ricerca e strategia", eseguita su un campione di 253 aziende italiane del settore della meccanica nei mesi di gennaio-febbraio 2018.

Il 25,3% delle pmi italiane del settore della meccanica giudica discreti gli effetti del Piano nazionale 4.0, anche se è sembrato privilegiare le grandi imprese. Il 24,1% ne dà una valutazione positiva, preferendo d’altra parte che il piano fosse pluriennale.

Il 17,7% esprime un giudizio pienamente positivo, sottolineando che la situazione è migliorata. Il 15,2% ne dà un giudizio, invece, negativo, definendo il piano confuso e non rispondente alle esigenze delle pmi. Lo 0,6% lo trova troppo sbilanciato verso i privati.

In merito agli ulteriori incentivi 4.0 stanziati dal governo nel triennio 2018-2020, il 41,8% delle pmi del comparto meccanica esprime soddisfazione, sottolineando il fatto che le misure possono accelerare un salto in avanti delle aziende. Un terzo (31%) dice che i provvedimenti costituiscono una buona base di partenza ma sono ancora insufficienti. Quasi il 9%, diversamente, esprime un parere negativo, poiché occorre predisporre un piano maggiormente strutturato.

"Big data, connessioni remote quasi senza confini, Internet of things offrono anche alle aziende di medie dimensioni l’opportunità di competere nell’economia globale, ma presentano dei rischi -osserva Dionigi Gianola, direttore generale cdo e responsabile del progetto Fabbrica per l’eccellenza- sia perché gli investimenti richiesti dai processi di digitalizzazione sono elevati sia perché la scelta delle tecnologie giuste ha effetti invasivi e quasi sempre a medio-lungo termine. Eppure al di là della singola innovazione o strumento, occorre anzitutto chiedersi quali sono le decisioni fondamentali che una media impresa italiana deve prendere in questo momento, per non restare travolta da questo fenomeno: questo forum intende aiutare gli imprenditori a conoscere, comprendere e decidere".

Il 18,4% (quasi un quinto) degli intervistati non conosce le misure del governo in materia di industria 4.0. Valutando le singole iniziative del governo emerge quanto segue:

  • il super/iperammortamento è giudicato positivamente dal 71,5% del campione,
  • il credito d’imposta dal 67,8%,
  • il miglioramento delle infrastrutture digitali abilitanti dal 63%,
  • il potenziamento del fondo di garanzia per le pmi dal 52,8%,
  • la de-fiscalizzazione dei premi di produzione dal 54,2%,
  • gli incentivi per piani formativi dal 47,9%,
  • la creazione dei gruppi di lavoro dal 39,3%.

Agli imprenditori viene anche chiesto un giudizio sullo stato attuale della propria azienda in rapporto al processo di industria 4.0. Il 36,9% degli intervistati dichiara di essere in linea con le competenze richieste, il 17,2% di anticipare le mosse dei competitor, di peso uguale è la quota di quanti ammettono, invece, di essere indietro rispetto alle azioni dei competitor, il 10,2% non sa come si sta muovendo, il 18,5% non dà alcun tipo di giudizio. Mettendo a fuoco, parallelamente, le diverse branche tecnologiche di Industria 4.0, il 59,9% degli imprenditori delle pmi del settore meccanica dichiara di avere introdotto in azienda strumenti per la sicurezza informatica, il 53,1% per la connettività, il 26,8% internet of things, il 29,3% tecniche di Simulazione, il 24,5% cloud computing, il 19% produzione additiva, il 16,3% robotica collaborativa, il 16,3% big data, il 10,2% realtà aumentata, il 6,1% materiali intelligenti, nanotecnologie il 4,1%.

Il livello di conoscenza delle diverse tecnologie delle aziende intervistate varia in funzione delle medesime: quello delle tecnologie inerenti la sicurezza informatica è buono per il 42,8% degli imprenditori intervistati, quello relativo alla connettività per il 43,9%, in tema di cloud computing per il 36,2%, nella simulazione il 35,7%, produzione additiva il 34,9%, internet of things il 26,9%, robotica collaborativa il 21,8%, Big Data 21,3%, Realtà aumentata 19%, materiali intelligenti 17,4%, nanotecnologie 11,8%.

Dal momento che la quarta rivoluzione industriale richiede nuove competenze nell’analisi e gestione dei dati, viene presa in considerazione anche la preparazione complessiva del personale dell’azienda. Il 18,6% è del parere che la preparazione è scarsa, il 29,3% si dichiara invece ottimista in questo senso, il 52,1% degli imprenditori è neutrale. L’adozione di nuove tecnologie sta generando la presenza di nuove figure aziendali preposte allo sviluppo del processo di innovazione digitale.

Tuttavia nel 55,2% dei casi è ancora l’imprenditore stesso a gestire tale processo, il 10,9% delle aziende vede la presenza di un cio, il 7,3% dichiara che la persona dedicata è il direttore tecnico, il 6,1% il direttore ricerca & sviluppo, il 4,8% il direttore operations, solo lo 0,6% ha un cdo chief digital officer, il 13,9% non vede l’impiego di nessuna risorsa per la digitalizzazione. Il tema della formazione interna all’azienda costituisce un nervo scoperto nel processo di digitalizzazione. Il 29,5% vi dedica fino a 10 ore-dipendente-anno. Il 32,6% dichiara da 11 a 20 ore, il 12,1% da 21 a 30, il 5,8% da 31 a 40, il 12,6% oltre 40 ore. Il 7,4% non investe in formazione.

La ricerca mette a fuoco, nello stesso tempo, il livello degli investimenti in ricerca e innovazione rispetto al fatturato nel 2018. Il 61,8% dichiara di investire meno del 10% del fatturato, il 22,5% dal 10% al 20%, il 5,2% tra il 20% e il 30%, il 2,9% dal 30% al 40%, stessa quota per coloro che investono oltre il 40%, il 4,6% non investe in questo senso. Rispetto al grado di trasformazione dal punto di vista digitale, Il 17,1% degli imprenditori ascoltati ritiene che la propria azienda in questi anni sia cambiata molto, il 32,6% abbastanza, il 32,1% mediamente, il 17,1% poco, l’1,1% per nulla. In merito al livello di conoscenza delle opportunità tecnologiche e digitali sul mercato il 36,4% lo ritiene medio, il 33,2% sufficiente, il 18,2% alto, il 12,3% basso.

Valutando gli strumenti che potrebbero essere utilizzati per accelerare il processo di innovazione, la consulenza mirata è indicata dal 50,6% del campione, il 40,3% dice che servirebbero comparazioni con aziende analoghe, il 34,1% il trasferimento di conoscenza, il 29% fa riferimento agli workshop, il 15,3% a tutorship universitari. Alla domanda in merito a quali parti dell’azienda vengono coinvolte dalla digitalizzazione, il 38,5% è del parere che questa coinvolga tutta l’azienda, il 41,2% una buona parte, il 13,2% pochi nodi, il 4,9% solo il reparto amministrativo, il 2,2% nessun reparto. Approfondendo la domanda ai singoli settori aziendali digitalizzati, il 62,4% valuta alto il livello di digitalizzazione dei canali di vendita e marketing, il 51,5% la progettazione e lo sviluppo del prodotto, il 49,1% la relazione con il fornitore di macchine, il 41,6% l’integrazione orizzontale dei processi, il 40,6% l’integrazione verticale dei medesimi.

Per ciò che concerne gli effetti attesi dalla digitalizzazione, il 60% si aspetta un incremento dei ricavi fino al 15%, il 24,5% dal 15% al 30%, il 10,3% dal 30% al 50%, il 5,2% oltre il 50%. In termini di riduzione dei costi a fronte della digitalizzazione il 69,7% la quantifica fino al 15%, il 21,9% dal 15% al 30%, il 6,5% dal 30% al 50%, l’1,9% oltre il 50%.

Inoltre, vengono vagliati i principali fattori che rallentano la digitalizzazione. Il 48,4% lo identifica nell’incertezza del rapporto investimenti-benefici, il 36,8% nella mancanza di competenze interne, il 31% nell’arretratezza della maggior parte delle imprese con cui si viene a collaborare, il 29,7% dichiara che gli investimenti richiesti sono troppo alti, il 24,5% individua la mancanza di un’infrastruttura di base adeguata, il 18,7% la mancanza di una chiara visione della direzione da intraprendere da parte del top management, il 18,1% ritiene che un ostacolo sia costituito dai troppi dubbi sulla sicurezza dei dati e dalla possibilità di cyber attack.

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a cura di LABITALIA/ADNKRONOS