Harley-Davidson: tre segreti di 110 anni di successo
Economia

Harley-Davidson: tre segreti di 110 anni di successo

Ecco come il marchio ha consolidato la propria posizione sullo scenario globale

Adesso, anche il Papa ha un’Harley Davidson. Anzi, due. Omaggiate dagli appassionati in occasione del 110° anniversario del marchio. La differenziazione del target è una delle chiavi del successo della motocicletta nata in un garage di Milwakee nel 1903. Ai target emergenti, infatti, l’azienda dedica particolare attenzione: oltre il 50% delle donne che comprano motociclette negli Stati Uniti, per esempio, comprano una Harley. “Con il numero di motociclette che vendiamo oggi, siamo i primi per quanto riguarda i giovani adulti, gli afro-americani, gli ispanici, le donne e agli uomini bianchi”, ha spiegato a Business Week  Mark-Hans Richer, chief marketing officer della casa americana. Gli uomini fra i 34 e 74 anni restano il core target dell’azienda e, stando al Census Bureau, continueranno a esserlo anche per gli anni a venire, visto che il bacino potenziale di cinquanta milioni di acquirenti non sarà intaccato dal tempo che passa. Ma le prospettive sono buone anche presso i consumatori dei mercati emergenti: le vendite, lo scorso anno, sono cresciute del 39,2% in America Latina e del 14,3% nella regione dell’Asia-Pacifico, contro il +6,2% del Nord America e il -3% della regione Emea.

Il secondo segreto del successo di Harley-Davidson si chiama strategia. L’azienda, infatti, è passata dal primo primo prototipo, una bicicletta a propulsione, alla capitalizzazione odierna da 11,84 miliardi di dollari. A dieci anni dall’esordio, dalla fabbrica Harley-Davidson sono uscite quasi 13mila motociclette e lo scorso anno ne sono state prodotte 247,625. Terminata la Prima Guerra Mondiale, durante la quale H-D ha fornito le motociclette ai soldati americani di stanza in Europa, l'azienda è il più grande produttore del mondo, presente in 67 Paesi. Insieme alla Indian, è stato uno dei due marchi di motociclette in grado di sopravvivere alla Grande Depressione e alla concorrenza dell’industria automobilistica emergente. Una Ford modello T, infatti, costava come uno fra i modelli più potenti delle due ruote. Negli anni, l’azienda è diventata un colosso produttivo distribuito in 41 edifici, ma la crisi del 2009, ha obbligato il management a ripensare le cose. Oggi, Harley-Davidson è in migliore condizione finanziaria del livello pre-crisi, grazie a una politica coraggiosa . H-D, infatti, ha saputo rivoluzionare il proprio approccio al lavoro: le 62 diverse tipologie di impiego pre-crisi sono scese a cinque. Il che significa che i lavoratori hanno un maggior numero di competenze e si spostano nell’impianto produttivo a seconda delle esigenze. Inoltre, d’accordo con i sindacati, è cresciuta la flessibilità e sono sempre di più i lavoratori che vengono ingaggiati nel momento del bisogno. 

La terza variabile che ha contribuito al successo è connaturata ai valori del marchio: “Lo scopo di Harley-Davidson è soddisfare i sogni di libertà personale delle persone di tutto il mondo”, ha ricordato  pochi mesi fa Keith Wandell, chairman, president e chief executive officer, in occasione della presentazione dei risultati 2012 che è stato chiuso con un giro d’affari di 5,58 miliardi di dollari, profitti per 623,9 milioni (contro i 548,1 del 2011) e vendite globali a +6,2%. Nel 2010, il valore del licensing del marchio ha toccato i 40 milioni di dollari, ma l’azienda, in realtà, investe ben poco in pubblicità. “Siamo stati il primo social network del mondo, quando ancora non si parlava di social network”, ricorda Richer. Con la nascita degli Harley Owners Group nel 1983, infatti, H-D ha incanalato la voglia di stare insieme dei suoi clienti. Oggi, esistono oltre 1400 club locali, i cosiddetti chapter , a cui fa capo oltre un milione di appassionati. Alcuni, come ha svelato Business Insider in occasione del motoraduno cinese di qualche settimana fa, decisamente pittoreschi.

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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