iStock-indagini
CSA Images/Mod Art Collection
Economia

Così le piccole e medie imprese meridionali tornano a investire

Il Rapporto Pmi Mezzogiorno, a cura di Confindustria e Cerved, con la collaborazione di Srm ritrae un tessuto produttivo in crescita ma con unità di dimensioni ancora ridotte, che faticano a crescere. Servono più capitali

A cura di Labitalia - Attivare il potenziale degli investimenti e favorire il salto dimensionale delle micro imprese. Queste le due sfide decisive per le piccole e media imprese meridionali, che tornano ad investire. Ma potrebbero farlo in maniera ben più consistente grazie a una crescente solidità finanziaria e patrimoniale. Il tessuto produttivo, infatti, ha conti economici in ripresa e torna a popolarsi, ma soprattutto di imprese di piccolissime dimensioni, che faticano a crescere. Così, la velocità con cui tale processo si compie non è ancora sufficiente a recuperare, in tutti i territori, le fette di tessuto imprenditoriale perdute con la crisi.

E’ questa la fotografia della quarta edizione del Rapporto Pmi Mezzogiorno, a cura di Confindustria e Cerved, con la collaborazione di Srm - Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che fa il punto sulle caratteristiche e sull’andamento di un campione di imprese - le pmi di capitali tra 10 e 250 addetti - rappresentativo del tessuto imprenditoriale meridionale. Un campione, di circa 26 mila imprese, che vanta un fatturato di tutto rispetto (oltre 130 miliardi di euro) e un valore aggiunto di quasi 30 miliardi di euro: da sole, dunque, valgono poco meno del 10% del Pil meridionale.

Nel suo complesso, il sistema di pmi meridionali, che per effetto della crisi aveva mostrato una marcata flessione tra 2007 e 2014 (da 29mila a meno di 25mila imprese, -14%), è tornato a crescere, a ritmi anche superiori a quelli nazionali (nel 2016 +4,1% contro +3,6%). Rispetto ai valori pre-crisi mancano ancora all’appello circa 2 mila pmi, ma le tendenze sono incoraggianti, sia sul fronte delle nascite sia delle cessazioni. Il numero di pmi uscite dal mercato è infatti tornato su livelli fisiologici, con netti cali di fallimenti (-25% tra 2016 e 2017), di procedure concorsuali (-18%) e di chiusure volontarie.

La natalità si conferma elevata e tocca, con 35 mila nuove imprese, un nuovo record: ma oltre la metà delle nuove nate sono Srl semplificate (cioè con meno di 5.000 euro di capitale) e in larghissima parte piccolissime imprese. La sfida decisiva è il salto dimensionale di tutte le categorie di imprese: da micro a piccole, da piccole a medie e poi grandi, infoltendo il tessuto di imprese del Mezzogiorno. I conti economici sono in graduale ripresa e certificano il buono stato di salute di questo campione di imprese. Aumentano infatti il fatturato (+2,7%), che cresce più della media italiana ed è ormai tornato ai livelli pre-crisi, e il valore aggiunto (+4% tra 2015 e 2016).

Più contenuti sono i miglioramenti della redditività lorda, come se diseconomie esterne e interne alle imprese ne limitassero i risultati: il Mol, in crescita dell’1,6%, è ancora lontano dai livelli del 2007, rispetto ai quali le pmi meridionali hanno perso più di 30 punti percentuali. Migliora anche la redditività netta, con il Roe all’8% (dal 7,5% dell’anno precedente), che però rimane inferiore rispetto alla media nazionale (10,2%). La forte crescita della capitalizzazione delle pmi meridionali (+5,3% tra 2016 e 2015, con un incrementi di 1/3 rispetto ai livelli pre-crisi) ne rende più sostenibile il debito. Grazie anche ai bassi tassi di interesse, si riduce il peso degli oneri finanziari: questa ritrovata sostenibilità rende più agile l’indebitamento.

Il credito aumenta soprattutto nelle regioni dove è più robusto l’apparato produttivo. Si tratta peraltro di un indebitamento meno ‘necessario’: in forte calo è infatti il numero delle imprese meridionali fortemente dipendenti dal credito bancario, ormai quasi in linea con la media nazionale. Anche il miglioramento dell’affidabilità creditizia testimonia la maggiore robustezza dell’apparato produttivo meridionale: metà delle imprese osservate sono valutate positivamente come sicure o solvibili (passando dal 40% al 48,4%). E i movimenti dello score indicano comunque che le pmi che migliorano la propria classe di rischio (35,6%) sono significativamente di più di quelle che la vedono peggiorare (25,6%).

Il principale segnale di svolta viene dagli investimenti: dopo una fase di forte contrazione, accelerano e crescono in tutte le regioni meridionali. Tra 2015 e 2016 gli investimenti materiali lordi delle pmi meridionali aumentano dal 5,9% delle immobilizzazioni materiali all’8,5%, superando la media nazionale (7,8%). Ancora meglio fanno le imprese industriali, i cui investimenti superano il 10% delle immobilizzazioni in Campania, Puglia e Sicilia. Soprattutto, gli investimenti mostrano ancora ampi e confortanti margini di crescita. Le circa 7 mila pmi meridionali con fondamentali più solidi potrebbero infatti aumentare il proprio indebitamento fino a 9,4 miliardi di euro, mantenendo un livello di rischio molto contenuto: un incremento consistente, pari al 22,4% dell’attivo, che se trasformato in investimenti potrebbe aumentare significativamente la capacità produttiva meridionale.

Oltre la metà di questo potenziale, 5 miliardi di euro, si riferisce a 6 mila piccole imprese che, anche grazie a questo ulteriore indebitamento ‘sostenibile’, potrebbero ricevere una spinta significativa alla loro crescita dimensionale e produttiva. Non stupisce se 1,8 miliardi di euro di nuovo, potenziale indebitamento ‘sostenibile’ si riferisce a circa 1 migliaio di pmi ad alta automazione: anche al Sud Industria 4.0 si conferma la strada maestra per l’irrobustimento del tessuto produttivo, soprattutto della parte industriale.

Tra le imprese osservate, quelle industriali sembrano aver pagato i costi maggiori della crisi ma mostrano ora i maggiori segnali di vitalità. Il duro processo di selezione ha fatto scendere il numero di pmi di capitali tra il 2007 e il 2014 da 6.330 a poco più di 5.000 unità, con un calo del 20%, percentuale quasi doppia di quella nazionale. Il 2015 fa registrare un primo, piccolo ma importante, segnale di inversione di tendenza: sia a livello nazionale, sia al Sud, il numero delle pmi industriali cresce dello 0,7%.

I risultati delle pmi dell’industria rimaste sul mercato sono incoraggianti: il loro fatturato cresce al Sud del 4,8% (2016), quasi il doppio del complesso delle pmi dell’area e più della media nazionale (3,1%). I margini lordi delle pmi industriali aumentano del 3,2%, il doppio del complesso delle pmi, ma meno di quelle italiane (+4,6%). Anche le imprese industriali scontano, dunque, il peso di diseconomie esterne che ne limita le performance.

Un peso che continuerà a farsi sentire, anche in una congiuntura che si conferma positiva. Secondo le previsioni di Confindustria e Cerved, nel 2018 e nel 2019, fatturato e valore aggiunto delle pmi di capitali del Sud continueranno a crescere con tassi non lontani da quelli del resto del Paese, mentre i margini si manterranno più bassi della media nazionale, a conferma della rilevanza di fattori esterni che pesano sulla profittabilità delle imprese meridionali.

Insomma, le prospettive delle pmi meridionali sono moderatamente positive, ma l’intensità con cui tali andamenti si consolidano e, soprattutto, la velocità con cui il segno ‘+’ si estende mostrano che c’è ancora molto da fare per tradurre questi segnali in un complessivo miglioramento della situazione economica e sociale dei territori meridionali. Le sfide da affrontare sono impegnative, e di non breve periodo: occorre, infatti, rinfoltire le fila delle piccole ma soprattutto delle medie imprese di capitali; attivare il potenziale di investimento con un miglior accesso alle fonti di finanziamento, non solo bancario; utilizzare sinergicamente credito, finanza e strumenti di incentivazione; sfruttare i fondi europei per ridurre le diseconomie territoriali. Imprese, mondo del credito e della finanza, Istituzioni, sono tutti chiamati a fare la loro parte.

I più letti

avatar-icon

Redazione Economia