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ANSA/ANGELO CARCONI
Economia

Banca Etruria e le altre: la caccia ai responsabili della crisi

L'ultima valanga di fango colpisce il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, ma come nei migliori polizieschi, non è ancora chiaro chi sia il vero colpevole

È cominciato come il più tradizionale dei polizieschi: il delitto è stato commesso dal maggiordomo, nella fattispecie il guardiano, il vigilante, cioè la Banca d’Italia. Ma più va avanti, più la commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria assomiglia al giallo di Agatha Christie “Assassinio sull’Orient Express”: molte mani hanno inferto la coltellata (ben dodici nel racconto della scrittrice inglese) tanto che è impossibile decidere quale sia stata davvero letale.

Troppi colpevoli, nessun colpevole? Il rischio che finisca così esiste. L’ultima valanga di fango travolge il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, già consulente di palazzo Chigi, il quale avrebbe omesso di rivelare che Pierluigi Boschi, padre di Maria Elena, è stato indagato nel caso Banca Etruria insieme ad altri amministratori per aver fornito informazioni false alla clientela e lacunose alla Consob. In merito a questo è stato ascoltato dalla Commissione bicamerale d'inchiesta sulle banche presieduta da Pierferdinando Casini difendendo la propria posizione. A questo punto, non resta che indossare le vesti di Poirot, ghette incluse, e mettere in ordine tutti gli indizi.

I non performing loans

In cima ci sono i non performing loans, cioè i crediti marci (deteriorati secondo la diplomatica definizione ufficiale) che in Italia ammontano a 200 miliardi di euro molto più che in qualsiasi altro paese europeo. Gli npl sono l’equivalente nostrano dei mutui subprime che tra il 2007 e il 2008 hanno fatto saltare le banche americane. Diversi nella tecnica, sono simili nella sostanza: prestiti concessi a chi, per una serie di ragioni, non li avrebbe mai restituiti.

Una parte di questi prestiti sono marciti perché, con la recessione, imprese e famiglie hanno visto crollare il loro reddito. Emergono nomi altisonanti: la Sorgenia controllata dalla Cir di Carlo De Benedetti, l’Alitalia, Ligresti, Zunino, Coppola, la serie è davvero molto lunga ed è ormai pubblica. In alcuni casi come per Sorgenia e Alitalia, le banche hanno trasformato i crediti in azioni, ma ciò non ha alleggerito i bilanci. I grandi debitori sono la punta, ma l’iceberg è ben più grande e finora stava nascosto sott’acqua.

La gestione delle banche

La crisi, però, è il detonatore, non la causa prima che va ricercata nel modo in cui sono state gestite le banche. Si diceva che il sistema italiano era sano e solido perché non aveva giocato con i derivati, tuttavia i prestiti concessi in modo clientelare hanno avuto un effetto anche peggiore. Basta leggere i bilanci del Monte dei Paschi di Siena che con 40 miliardi di euro guida ancora la classifica dei crediti marci. Circa un terzo delle sofferenze è dovuto ai grandi clienti, il resto è diffuso in mille rivoli per sostenere il territorio, o meglio per alimentare il consenso politico-elettorale. Ciò vale anche per la Popolare di Vicenza, per Veneto banca, per la Banca dell’Etruria e tutte le altre. L’intero sistema delle banche locali e popolari era bacato e il verme si chiama proprio clientelismo.

Quando la crisi ha rivelato che non c’era capitale a sufficienza per andare avanti, i banchieri sono ricorsi a ogni escamotage possibile: veri e propri trucchi contabili come il Montepaschi con i contratti Alexandria o Santorini, un sostegno artificioso al valore dei titoli come a Vicenza, la vendita di obbligazioni alla clientela minuta (la Banca dell’Etruria), forzando le regole se non violando apertamente le norme come nel caso delle cosiddette operazioni baciate (prestiti concessi ai clienti per indurli a comperare le azioni della banca).    

I vigilanti

E le autorità di vigilanza? In molti casi hanno chiuso gli occhi. La Consob, per esempio, non ha preteso che nei prospetti informativi si avvertisse chiaramente che anche le obbligazioni subordinate erano a rischio in caso di crac bancario. In altre hanno indagato, hanno multato, hanno avvisato i banchieri, hanno inviato i loro bei rapporti alla magistratura che, come è accaduto a Vicenza, talvolta li hanno messi nel cassetto. Ma non hanno lanciato l’allarme, forse per paura di non creare il panico in una economia già molto indebolita.

In ogni caso, hanno preferito che i panni sporchi venissero lavati in famiglia. Come nel caso della Popolare di Vicenza. Nonostante una lunga serie di ispezioni e di allarmi che risalgono indietro negli anni, ancora nel 2014 la Banca d’Italia riteneva che potesse rimettersi in piedi con le proprie gambe. Non solo. Quando la Bpv ha proposto di comperare la Banca dell’Etruria, ha consigliato di stare attenti, ma non ha detto chiaramente che un cieco voleva guidare uno storpio sull’orlo dell’abisso.

Come è finita

E qui veniamo al grande equivoco che attraversa i lavori della commissione. Si sta discutendo sul perché non sono state salvate in tempo banche le quali, stando ai loro bilanci e al modo in cui erano gestire, non avevano più alcuna ragione di esistere. Tanto che, dopo anni di tergiversazioni e di pasticci, non esistono più. Vicenza e Veneto Banca sono state assorbite da Banca Intesa, le quattro banchette del Centro Italia cedute per un euro. Il Monte dei Paschi è stato nazionalizzato.

Era meglio chiudere subito i battenti, salvare i depositanti e i risparmiatori imbrogliati (quelli che davvero sono stati turlupinati, non chi ha perso in soldi e adesso vuole essere rimborsato dai debitori onesti e dai contribuenti), mettere i bancari in cassa integrazione e ricominciare su basi nuove. Secondo alcune stime i costi dei salvataggi superano già i 30 miliardi di euro. Il falso dogma che una banca non debba fallire ha solo coperto l’azzardo morale e la cattiva gestione.

I responsabili

Le responsabilità dei guardiani, dunque, esistono. Consob e Bankitalia sono già sotto tiro e nel mirino entra anche il Tesoro che ha sottovalutato la crisi delle banche insistendo con il mantra che il sistema è saldo. Ma ci sono, grandi come palazzi, anche le responsabilità politiche. Le ispezioni della Banca d’Italia a Vicenza e Montebelluna venivano tacciate come intrusioni dal governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia. Tutta Siena si è arroccata a difesa del Montepaschi (e qui è in ballo il Pd). Il conflitto d’interessi su Banca Etruria ha coinvolto Maria Elena Boschi e, per la proprietà transitiva, Matteo Renzi. Mentre a Genova la crisi della Cassa di Risparmio che ha portato in prigione i vecchi amministratori è stata accompagnata da un incredibile silenzio di Beppe Grillo e del suo movimento.

La commissione continua, questa settimana verranno ascoltati altri testimoni e protagonisti, ma tutti attendono il neo confermato governatore Ignazio Visco (verrà convocato la prossima settimana? Per ora si parla di martedì 12). Dunque, non possiamo mettere fine al nostro giallo, rinviamo gli appassionati del genere alla prossima puntata.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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