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Alessandro DI Marco/Ansa
Economia

Bad bank, perché non è ancora nata

La società-veicolo che dovrebbe rilevare le sofferenze delle banche italiane e metterle in salvo non ha ancora il disco verde di Bruxelles. Ecco le ragioni

Le trattative vanno avanti e si fanno sempre più serrate. Sono quelle tra il governo di Roma e le autorità di Bruxelles riguardo alla nascita di una Bad Bank, cioè la società veicolo in cui dovrebbero confluire i crediti in sofferenza delle banche italiane, in modo da dare una bella ripulita ai loro bilanci. Si tratta di un'operazione complessa, di cui si parla da tempo e che necessità anche del disco verde dell'Unione Europea, poiché potrebbe nascondere un aiuto di stato alle imprese private (in questo caso a vantaggio di istituti creditizi), una pratica vietata dalle normative comunitarie. L'Italia ha presentato in proposito una sua proposta, che ora viene esaminata a Bruxelles ed è in attesa di un responso.


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Per capire bene come stanno le cose, bisogna andare per ordine. Innanzitutto, va ricordato da dove nasce il problema. Oggi le banche italiane sono bersagliate dalla speculazione in borsa anche e soprattutto per una ragione: hanno i bilanci pieni di sofferenze. In totale, i prestiti concessi dagli istituti di credito che rischiano seriamente di non essere restituiti valgono più di 200 miliardi di euro e salgono a oltre 360 miliardi se si considerano anche i finanziamenti e gli affidamenti appena incagliati. Si tratta di una pesante zavorra che rende appunto le banche italiane estremamente vulnerabili soprattutto in un periodo come questo, in cui sui mercati finanziari è tornata la tempesta.


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Per questo, si è fatta strada da tempo l'ipotesi di adottare una soluzione che sembra l'uovo di colombo: creare una società ex-novo, la bad bank, in cui far confluire tutta questa montagna di crediti-spazzatura. Le banche potrebbero così separare il buono dal marcio, liberandosi di un fardello e rafforzando la propria solidità patrimoniale. Facile a dirsi. In realtà, dal punto di vista pratico, si tratta di un'operazione difficile, che richiede più di un passaggio. Innanzitutto, occorre stabilire a che valore i crediti deteriorati verrebbero ceduti dagli istituti di credito nazionali alla bad bank. Se venissero “svenduti” per pochi soldi, nei bilanci delle banche si aprirebbero comunque grossi buchi.


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Inoltre, c'è un interrogativo che deve ancora trovare risposta: quale assetto azionario avrà la nuova bad bank? Sarà partecipata solo dagli istituti che vi trasferiscono i crediti deteriorati o interverrà anche lo stato? E' escluso che prenda corpo quest'ultima ipotesi, visto che le regole dell'Unione Europea vietano proprio qualsiasi forma di aiuto di stato a vantaggio di imprese private, comprese ovviamente le banche. Più facile, invece, è che lo stato giochi piuttosto il ruolo di garante-assicuratore esterno, anche se non si capisce bene ancora con quali modalità. E' proprio a causa di queste difficoltà tecniche che fino adesso la bad bank non ha mai visto luce. Ora le trattative con Bruxelles sembrano a un punto di svolta, anche se tutto dipenderà dalla validità delle proposte che giungono da Roma. Spetta infatti al governo italiano elaborare una soluzione, mentre l'Unione Europea si limiterà soltanto a dare un via libera o una bocciatura.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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