L'Argentina fallisce: le due strade per i creditori
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Economia

L'Argentina fallisce: le due strade per i creditori

Solo il 7% di chi detiene titoli argentini può tentare la rivalsa contro lo stato come hanno fatto i grandi fondi. Per gli altri, il percorso è molto più difficile

Ancora una volta, l'Argentina è sull'orlo del fallimento. Ed è sempre colpa dei Tango bond. Questa volta non si tratta solo di una storia di malversazioni contabili e iperinflazione, bensì di una vicenda legale che rimanda al 2001, anno diventato celebre per il pirotecnico default argentino da 100 miliardi di dollari. Due giorni fa, la Corte suprema statunitense ha rigettato l'appello dall'Argentina e ha sancito che il Paese deve ricompensare i fondi hedge che si sono rifiutati di ristrutturare il debito nel 2005 e nel 2010.

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Le cifre in ballo non sono piccole. I fondi dovranno essere pagati per circa 1,5 miliardi di dollari. Una somma che, con ogni probabilità, condurrà il Paese al default. E ci sono possibili sviluppi positivi anche per tutti gli altri risparmiatori rimasti bruciati nel 2001.

La vicenda era nota da tempo. A seguito del fallimento sovrano del 2001, un drappello di hedge fund ha deciso di rastrellare titoli di Stato argentini prima della loro regolazione internazionale. L'obiettivo era chiaro: rifiutare qualunque forma di concordato con Buenos Aires e ottenere il massimo rimborso possibile. Tra i fondi coinvolti, i più attivi sono Elliot Capital Management, tramite l'unità NML Capital, e Aurelius Capital Management. Reclamano circa 1,5 miliardi di dollari e, almeno dal punto di vista legale, li hanno ottenuti. Così ha disciplinato la Corte suprema americana, dopo una lotta durata circa 4 anni. Una decisione che lascia aperto uno spiraglio anche a chi ha già regolato i conti con la Repubblica Argentina negli anni passati. Il tutto a patto di avere molto tempo a disposizione e un pool di legali con competenze superiori alla media.

Per capire cosa è successo, e cosa può succedere, bisogna tornare indietro di qualche anno. Nel 2005 e nel 2010 ci sono state due controversie sui bond argentini. L'ammontare complessivo è di circa 100 miliardi di dollari, la cifra su cui Buenos Aires ha dichiarato default nel 2001. Il 93% degli obbligazionisti, in quelle due occasioni, ha accettato di subire un haircut, un taglio al valore nominale dei bond detenuti, del 705. In pratica, qualcosa di simile a quello che è successo in Grecia nel marzo 2012.

Tutto verte intorno a specifiche clausole contenute nei bond emessi dall'Argentina, le pari passu. Tramite queste clausole anche gli ultimi creditori hanno potuto avere lo stesso trattamento di tutti gli altri obbligazionisti. O meglio, quella parte di debito, contenente la clausola pari passu, gode degli stessi diritti rispetto a tutti gli altri crediti non garantiti. Nessuna postergazione fra obbligazionisti, quindi. I fondi hedge che hanno messo sotto scacco l'Argentina lo hanno fatto proprio tramite le pari passu. Buenos Aires non voleva rimborsare alcunché a essi, ma in virtù di tali clausole, lo deve fare. E qui viene il bello, solo in teoria e non nella pratica, per tutti gli altri creditori.
Ci sono due possibili vie. Da un lato, un creditore che non ha accettato gli accordi del 2005 e del 2010 può tentare la rivalsa contro la Repubblica Argentina, sull'onda di ciò che hanno fatto i fondi hedge. Del resto, essendo la controversia disciplinata in base ai principi della common law, la sentenza della Corte suprema è di fatto destinata a creare un precedente giuridico, utile in altre sedi. Questo lascia aperta la porta per chi non ha ancora regolato questa fattispecie. Si tratta di un numero esiguo di investitori, solo il 7%, ma comunque protetto dalla legge americana.

Dall'altro lato, però, per i creditori che hanno sottoscritto senza obiezioni i due concordati sul debito argentino, le probabilità di rivedere i propri soldi sono quasi nulle. Ciò che è avvenuto per tutti gli altri Tango bond, specie quelli dei piccoli risparmiatori, può essere difficilmente cambiato. Questo perché il concambio è avvenuto con l'accordo, anche tacito in alcuni casi, di ambo le parti. Tuttavia, come spiega un paper a cura di Mitu Gulati, docente di legge della Duke University e fra i massimi esperti al mondo di ristrutturazione del debito sovrano, c'è una ultima possibilità. Se i bond in questione contenevano una clausola pari passu e il risparmiatore può provare che il concambio ha avuto luogo in seguito a una lacune informative da parte della Repubblica Argentina, si può tentare di aprire una controversia e ottenere un indennizzo. Una strada non impossibile, secondo Gulati.

Il prossimo passaggio è quasi scontato. Il default sovrano non è questione di "se", ma di quando. Se l'Argentina pagasse i fondi hedge, non potrebbe pagare le cedole sui bond circolanti. Pertanto, dovrebbe dichiararsi insolvente su una parte di debito. Viceversa, se non pagasse i fondi hedge, decidendo di staccare le cedole sui titoli già emessi, sarebbe insolvente su un'altra parte di debito. Inoltre, se decidesse di non onorare alle proprie obbligazioni nei confronti dei fondi Hedge, questi potrebbero chiedere il pignoramento coatto di diversi beni statali. Come spiega un portavoce dello studio legale Clifford Chance, "le armi in mano ai creditori sono state usate tutte e in modo ottimale. All'Argentina non resta altro che mediare con i fondi, pagare tutto o dichiarare default sovrano". Il prossimo appuntamento è previsto per il 30 giugno, quando il tribunale competente per i fondi in questione deciderà se questi hanno diritto all'intera cifra senza dilazioni o se è possibile concordare un pagamento scadenzato. Il tutto in attesa delle altre cause che potrebbero giungere a seguito delle decisioni della Corte suprema.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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