Ugo Gregoretti, la Storia sono io
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Ugo Gregoretti, la Storia sono io

Intervista al regista che ha attraversato quasi tutto il Novecento e che, nel suo libro, racconta la propria vita con episodi inediti legati alla storia del cinema e della tv

Regista cinematografico, televisivo e teatrale, Ugo Gregoretti fu assunto alla Rai un mese prima che iniziassero le trasmissioni ufficiali. Nella sua più che cinquantennale carriera è racchiusa buona parte della storia dello spettacolo made in Italy. Autore negli anni del boom cinematografico italiano, il suo esordio è stato anche quello di Pasolini, Olmi, Ferreri, i fratelli Taviani, Montaldo, Petri, De Bosio, Scola, Bertolucci, solo per citarne alcuni.

Ora i suoi ricordi, molti dei quali inediti, sono diventati un libro. Titolo La Storia sono io , sottotitolo Con finale aperto, autore Ugo Gregoretti (Aliberti editore). La particolarità è che Gregoretti l'ha scritto sotto forma di sceneggiatura. Il volume, infatti, è destinato a diventare un film interpretato dallo stesso autore nel ruolo di se stesso nella maturità. Il regista ci accoglie nella sua casa museo, nel cuore di Roma, dove tutto evoca le atmosfere cinematografiche del '900. E concede a Panorama.it un'intervista esclusiva rievocando la sua vita dal primo ricordo.

La Storia sono io inizia con il funerale di Papa Pio XI. Come mai proprio questo evento?
"È il primo evento che ricordo distintamente. La scuola che frequentavo ci portò tutti, noi ragazzini di sette anni, a rendere omaggio alla salma del Pontefice. Quando riuscii a farmi strada tra il muro di folla che mi era davanti, all'improvviso mi si aprì uno squarcio e vidi a distanza ravvicinata, la salma del Papa di cui mi colpirono le babbucce ai piedi e le narici spalancate. Fu tale lo spavento che svenni.Quell'immagine, professionalmente, mi ha insegnato ad evitare inquadrature troppo ravvicinate".

È vero che non è stato uno studente modello e addirittura fu cacciato dalla redazione del quotidiano milanese Patria?
"Ho cambiato tre facoltà all'Università e non mi sono mai laureato, con grande cruccio di mio padre. Neppure quando ero già famoso per i miei documentari in tv, lui smetteva di rimproverami. Mi ricordava sempre che non ero un "dottore". Anche la mia esperienza come correttore di bozze al Patria, durò poco: mi cacciarono perché boicottavo il giornale. La verità è che mio padre rifiutava di accettare la mia inclinazione per il mondo della tv e del cinema. Il piccolo schermo allora agli esordi era guardato con diffidenza".

Quando inizia la sua scalata al successo?
"Con l'assunzione in Rai alla fine del 1953, come impiegato di categoria C, addetto alla segreteria del direttore generale. A farmi entrare nelle grazie del mio capo fu un fatto singolare. Ricevemmo dal Vaticano la richiesta di indicare una santa protettrice della tv. Io pensai a Santa Chiara che aveva visto, quasi proiettate in diretta sul muro della sua cella, le immagini della morte di San Francesco. La mia intuizione fu molto gradita al Pontefice e da allora la tv è sotto la protezione della santa. Poco dopo, con l'assegnazione del Prix Italia al mio documentario La Sicilia del Gattopardo, la consacrazione per me fu definitiva".

Così divenne un promettente cineasta.
"Con queste credenziali a viale Mazzini fui rivalutato: mi tolsero l'etichetta di persona sempre in cerca di guai e mi permisero di realizzare il mio sogno: una rubrica giornalistica satirica. Fu così che nacque Controfagotto: sette puntate di un programma definito oggi "cult". Subito dopo mi proposero la regia del film I nuovi angeli e con un atto di coraggio, incredibile per quei tempi, mi dimisi dalla Rai".

Ed è iniziato il suo vagabondaggio tra le varie forme di spettacolo...
"Sono passato dalla tv al cinema, al teatro d'opera e al teatro di prosa. Ma I nuovi angeli, credo sia ancora oggi, uno dei miei prodotti migliori. Era girato in economia, senza copione, con battute improvvisate. Rossellini, con il quale instaurai un rapporto come tra padre e figlio d'arte, lo presentò al festival di Cannes. In quel periodo chiesi l'iscrizione all'ANAC, associazione Nazionale Autori Cinematografici. Mi fu rifiutata perché ero troppo "contaminato" dalla tv, considerata allora inferiore rispetto al cinema. Quando però videro Godard leggere a nome di Rossellini la presentazione de I nuovi angeli sul prestigioso palcoscenico di Cannes, subito mi accettarono la richiesta. Il mio rammarico è che questo film, apprezzato anche all'estero, sia stato oggi dimenticato".

Intanto però era arrivato sul piccolo schermo Il circolo Pickwick con la sua regia. Ci furono polemiche?
Proteste, più che polemiche per il tonfo storico dello sceneggiato che solo dopo è stato rivalutato. Addirittura l'allora potente direttore generale Ettore Bernabei mi mise in quarantena. Per cinque anni non avrei potuto fare tv. Conseguenza: nessuno mi cercava, solo Gigi Proietti, che io avevo scoperto professionalmente, mi chiese, quattro anni dopo, di essere l'autore dei testi del suo spettacolo televisivo dal titolo Sabato sera dalla nove alle dieci. E questo fu il mio debutto come autore televisvo, continuato con gli anni sotto forma di varie altre collaborazioni, compresa, negli anni '90, un'edizione di Domenica in".

Con Proietti ha lavorato anche ne Le tigri di Mompracem.
"Cominciai a realizzare programmi per l'allora tv dei ragazzi, e Gigi Proietti fu uno straordinario Sandokan ne Le tigri di Mompracem. Ma quando cominciò a profilarsi all'orizzonte il Sandokan di Kabir Bedi, il mio lavoro fu nascosto per non influenzare gli ascolti della nuova fiction".

Il suo rapporto con la Rai è stato sempre così controverso?
"Mi hanno boicottato persino un documentario dal titolo Il conto di Montecristo, da me realizzato subito dopo gli anni di Tangentopoli. Utilizzavo come veicolo narrativo un ipotetico "conto" di Montecristo con un'operazione molto sofisticata. Ma quando il documentario fu terminato, il direttore che me lo aveva commissionato andò via. E il nuovo lo mandò in onda ad orari impossibili".

Qual è oggi il suo rapporto con il mondo dello spettacolo?
"Per un lungo periodo ho considerato la notorietà conquistata attraverso il piccolo schermo un fatto volgare. Volevo persino fare in modo di scomparire perché si dimenticasse il mio nome. Invece, poi, mi sono accorto con soddisfazione che vengo considerato un benefattore. Molti giovani mi conoscono per le mie trasmissioni che vanno in onda su Rai storia".

La Storia sono io
Ugo Gregoretti
Edizioni Aliberti
Pagg. 141, 15 Euro

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Marida Caterini.