Sgarbi: il padre escluso e il libro della iella
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Sgarbi: il padre escluso e il libro della iella

Il genitore del critico d’arte, con il suo libro Lungo l’argine del tempo, non entra nella cinquina per la migliore Opera Prima del Campiello. E Il figlio non ci sta...

Adesso che i giochi sono fatti, e che, contro ogni logica e ogni evidenza, e persino contro la volontà di giurati autorevoli e paludati come Philippe Daverio e Salvatore Silvano Nigro (ovviamente non posso scaricare le responsabilità su ignari come Patrizia Sandretto Re Rebaudengo), il libro di mio padre Giuseppe, Lungo l’argine del tempo (edito da Skira) è stato prima spodestato dal Premio Campiello Opera Prima 2014 e, subito dopo, escluso dalla cinquina in concorso, classificandosi, dopo un lungo combattimento, sesto, io non riesco a resistere alla rivelazione del sortilegio, della maledizione che, a partire da questo passo falso, farà sprofondare il Premio Campiello negli abissi dell’oblio e della vergogna.

Qualcuno potrà pensare che io parli per fatto personale. Si sbaglia. La considerazione tributata alle memorie di mio padre da scrittori e critici autonomi, non certo influenzati da me, come Giorgio Montefoschi, Luca Doninelli, Furio Colombo, Camilla Baresani, Salvatore Silvano Nigro, Carmen Llera, Valeria Parrella e, in più occasioni, pubblicamente, Philippe Daverio, travalica di gran lunga il mio affetto di figlio, che non ha mai dato credito ai meriti letterari di suo padre fino ad avere letto, con sorpresa, il suo libro. Ora, a prescindere dal valore letterario, è evidente anche a un cieco l’unicità di quest’opera. Essa è il lavoro non di un trentenne intraprendente o di un cinquantenne deluso, ma di un novantatreenne, fresco come una rosa nella prosa e nella vita; e certamente titolare di un primato incontestabile: essere il più antico esordiente di tutti i tempi.

Basterebbe questo a renderlo non solo degno (che è questione intrinsecamente letteraria), ma utilissimo e vantaggioso per il premio a un’opera prima. L’agonizzante Campiello, di cui da anni non si ricorda un vincitore, dopo la doppietta della Bompiani, guidata da mia sorella, con due titoli, ex aequo, Il sopravvissuto di Antonio Scurati e Mandami a dire di Pino Roveredo, avrebbe avuto (in fondo ha, anche ora, con lo scandalo) un imprevisto ritorno d’immagine. La giuria, guidata da una disorientata Monica Guerritore, non l’ha capito, nonostante le sollecitazioni di quella volpe di Philippe Daverio. Sornione, pensava e reclamava lo stesso Salvatore Silvano Nigro. Ha vinto un autore Feltrinelli, frustrato dopo cinquant’anni d’indifferenza, che il premio non contribuirà a dissolvere, tanto che non ne ricordano già il nome neanche quelli che l’hanno premiato.

In tutto questo mio padre è indifferente, distante, atarattico, e non soffre l’inutile e autolesionistico affronto che il premio ha fatto prima di tutto a se stesso. Ma come è potuto avvenire? Forse soltanto Daverio, benché dilettante di arte antica ma curioso e appassionato, ricorderà in questa Italia dell’oblio, anche di ciò che è molto vicino, che nella storia della pittura c’è un artista accompagnato dalla fama di formidabile iettatore. Il più clamoroso di tutti, origine di catastrofi, terremoti, crolli e incendi da lui ostentatamente evocati nelle opere pittoriche.

Con sprezzo del pericolo, la Bompiani ha pensato bene di pubblicarne una vita leggendaria, grazie alla curiosità e alla erudizione di una grande studiosa e buona scrittrice, Fausta Garavini, indifferente alle dicerie per spavalda incoscienza. Per la stima e l’amicizia che a lei mi legano, avrei dovuto recensire il libro, ma mi ha trattenuto la mano la sequenza di scongiuri che mi venivano dal cielo, dai miei maggiori, tutti morti, nella storia e nella critica d’arte: Roberto Longhi, Federico Zeri, Carlo Volpe, Giuliano Briganti che, al solo sentire le iniziali del nome di questo pittore, strabuzzavano gli occhi, incrociavano le dita e si portavano le mani all’altezza del cavallo dei pantaloni, con gesto apotropaico. Avrò il cuore qui di non dire il nome dello sventurato artista per evitare rischi al giornale e ai suoi lettori.

Ma la giuria ignara, con il furbo ammiccamento di Daverio, senza che ve ne fossero i presupposti e le consuete pressioni editoriali, ha inserito nella cinquina proprio il libro della Garavini. La quale avrà, con ciò, pensato che era finita la maledizione del pittore e che le si aprivano novelli auspici di insperate fortune. Ma, non appena il verdetto della giuria ha incluso il suo libro (certamente il più bello, e che quindi non vincerà), è cominciata la tempesta intorno a quello di mio padre, la cui esclusione non ha soltanto aperto la questione della correttezza e della coerenza della giuria, ma fatto calare la pietra tombale riassunta nelle mie parole: "Sono indignato non perché hanno escluso mio padre, ma perché hanno perso l’occasione di far parlare di un premio che di suo è morto".

Qualcuno penserà che ho esagerato, che parlo per affetto di figlio, ma i miei toni surriscaldati segnalano sempre un difetto della ragione, un disordine che non può che essere foriero di tempesta. Per cui dico ora che qualcosa di ineluttabile e inevitabile sta scendendo sul Premio Campiello. È solo questione di tempo. La maledizione dell’innominato non solo renderà vana l’audacia della Garavini, che ha sfidato la sorte, ma porterà al Campiello qualche imprevista catastrofe che lo farà sprofondare nella laguna come le architetture in rovina, sotto una luce sinistra, del pittore. L’esclusione di mio padre, con le conseguenti polemiche, è solo l’inizio. Il peggio deve ancora venire. Intanto, nel suo letto di pena, il fondatore del Campiello, Gian Antonio Cibotto, in preda all’Alzheimer, abbandonato e dimenticato da tutti nella lontana Rovigo, ha un brivido improvviso di benessere di cui non può capire le misteriose cause. Intanto Venezia, con i suoi campielli, affonda.

P.S. Solo una coincidenza? Vittorio Sgarbi ha scritto questo articolo il 2 giugno, due giorni prima che scoppiasse lo scandalo Mose, bufera che ha travolto politici e imprenditori nella città del Campiello. Un’inquietante premonizione? Forse sì. A patto di credere che un libro possa davvero portare iella...

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