Scarpa-Venini, quando i vasi sono comunicanti
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Scarpa-Venini, quando i vasi sono comunicanti

Dopo anni di oblio e il ritrovamento dell’archivio, i vetri disegnati dall’architetto saranno esposti a Venezia

Quando Frank Lloyd Wright arrivò a Venezia, nel 1951, si affrettò a chiedere ai presenti chi di loro fosse Carlo Scarpa. La piccola folla si zittì, perché Scarpa non era stato invitato a partecipare al comitato d’accoglienza in onore del grande architetto americano. Che, tra l’imbarazzo generale, chiese di essere portato a Murano alla vetreria Venini, dove volle vedere a uno a uno i pezzi creati dal direttore artistico tanto conosciuto (e apprezzato) all’estero quanto negletto dalla sua città.

L’aneddoto spiega il rapporto difficile tra Venezia e Scarpa, mai considerato un vero architetto quanto piuttosto un buon artigiano, e invece osannato fuori dall’Italia come un innovatore nella lavorazione del vetro. Ma ora anche Venezia cerca di riconciliarsi con il passato e riempie il vuoto degli ultimi anni con l’iniziativa della fondazione svizzera Pentagram Stiftung, creata da David Landau, ex presidente della Fondazione dei Musei civici di Venezia, e dalla moglie Marie-Rose Kahane, che 20 anni fa acquistò il suo primo vetro firmato Venini e che ora ne possiede una vasta collezione dove spiccano le realizzazioni di Scarpa.

«Il mio desiderio era donarla al Museo del vetro, ma non ho mai ricevuto una risposta alla mia offerta» sottolinea Kahane. Per questo ad affiancare il progetto non sono le istituzioni pubbliche della Laguna ma la Fondazione Giorgio Cini, che ha messo a disposizione un nuovo spazio espositivo sull’Isola di San Giorgio: diventerà Le Stanze del vetro, un’area permanentemente dedicata a questo materiale dove si terranno manifestazioni a tema fino al 2021.

Dal 29 agosto al 29 novembre nella mostra Carlo Scarpa. Venini 1932-1947 si potranno ammirare più di 300 opere delle 600 realizzate da Scarpa durante gli anni di direzione artistica alla Venini, dove entrò nel 1931 in seguito al fallimento della vetreria Cappellin. È lì che Paolo Venini lo nota e decide di portarlo con sé, apprezzandone il gusto per la sperimentazione.

Le tecniche di Scarpa sono quelle classiche della lavorazione del vetro, come la filigrana o la murrina romana, ma lui chiede ai maestri vetrai e ai molatori qualcosa in più: di fondere e rifondere la materia più volte, di corroderla con l’acido, di tesserla come un tessuto, di sovrapporre più colori per renderla spessa e materica, traendo ispirazione per le forme dalla cultura orientale.

Un lavoro maniacale ma misconosciuto, che è potuto emergere solo grazie al ritrovamento dell’archivio Venini a opera del curatore della mostra Marino Barovier. «Sembrava fosse andato distrutto nell’incendio del 1972 e invece si è salvato miracolosamente e poi è stato dimenticato nei vari passaggi di proprietà» conferma l’esperto.

Un patrimonio eccezionale fatto di migliaia di bozzetti e documenti che al termine dell’opera di sistemizzazione della Fondazione Giorgio Cini daranno materiale sufficiente per una decina di mostre e per altrettanti cataloghi dedicati al mondo Venini. Aiuteranno a fare uscire dall’oblio non solo il genio di Scarpa ma tutto il settore vetrario, assediato dalla crisi economica e dalle chincaglierie cinesi. E magari farà da trampolino al rientro del vetro in Biennale dopo 40 anni.

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Mikol Belluzzi