Saviano, vai a lezione da Tom Wolfe
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Saviano, vai a lezione da Tom Wolfe

L’ultima opera del padre del New journalism è un vero reportage da Miami. Romantico e senza protagonismi

È in auto con sua moglie il direttore dell’Herald di Miami, Edward T. Topping IV. Guida verso un ristorante alla moda. Wasp fino al midollo, conosce bene la situazione della città. Il sindaco è cubano, la polizia è cubana, i cubani sono diventati così dominanti che ha creato per loro El Nuevo Herald. Ma al momento per Topping c’è qualcosa di più difficile che accettare la fine dell’angloegemonia: trovare un parcheggio. E quando ce la fa, se lo vede soffiare sotto il naso da una Ferrari. Guidata da una ricca donna latina. La moglie di Topping e l’autista della Ferrari si fronteggiano. Una maledice in inglese, l’altra in spagnolo. Sembra di essere lì. E sembrerà di esserci anche per le successive 700 pagine di Back to blood, il romanzo che segna il ritorno del "principe bianco" Tom Wolfe, appena uscito negli Stati Uniti e atteso da noi nel 2013 per Mondadori.

Dopo otto anni, dopo un divorzio da Farrar Straus & Giroux, che dal 1965 aveva pubblicato tutti i suoi 13 libri, dopo un passaggio da 7 milioni di dollari di anticipo alla concorrente Little Brown. In Back to blood si muovono un poliziotto 25enne e un’infermiera di 24, cubani, Topping e i suoi giornalisti dell’Herald, uno psichiatra sex-addicted, un miliardario porn-addicted, spacciatori di crack, artisti concettuali in pieno show alla Miami Art Basel. Tutti ingigantiti da una potenza narrativa combustibile. E maledettamente veri. Una cavalletta immacolata ultraottantenne ha battuto ogni miglio quadrato di Miami, ne ha cavato un reportage da Pulitzer e lo ha trasformato in un’opera letteraria. Come è possibile? Si può fare un salto su Tomwolfemovie.com e dare un occhio al documentario di 57 minuti che tenta una spiegazione. Si possono leggere i ringraziamenti e trovare le "fonti".

Poi si può provare a ricordare. Nel giugno del 1970, mentre in ItaliaIndagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri bloccava il traffico nei pressi delle sale, sul fronte delle rivoluzioni culturali qualcosina si muoveva anche negli Stati Uniti. In un modo così futuribile e trasversale e poco piagnone e autoironico e mai letto prima che visto da qui sembrava una presa in giro. S’infiltrava sul New York Magazine"Lo chic radicale", in cui il neonato format del New journalism sbeffeggiava la Buona coscienza progressista e la sua "nostalgie de la boue", il brivido di assumere lo stile degli strati sociali inferiori". Nasceva lì l’ibrido "be there", la possibilità per il lettore di trovarsi "al posto" del cronista, che ritroviamo intatto in Back to blood: la letteratura regalata alla cronaca. Wolfe, per ispirazione, è rimasto un giornalista (che inventa personaggi di cui Shakespeare sarebbe andato orgoglioso e che scrive come un dio). Un giornalista scrittore di romanzi-reportage.

Vi ricorda qualcuno? Eppure Wolfe non pontifica, non rivela per chi voterà alle prossime elezioni, parla soltanto di letteratura e di scrittori. Quel che lo rende grande è l’avversione intatta per il romanticismo dell’animo primitivo. Un’avversione così futuribile, trasversale, poco piagnona e autoironica che vista da Gomorra sembra impossibile. Più volte Daria Bignardi ha raccontato che quel che la colpì la prima volta che vide Roberto Saviano fu che fosse vestito in modo inguardabile. Dato per scontato che neutralizzare il gusto come criterio dopo anni di apparizioni televisive diventa prima un vezzo e poi un messaggio, ci si chiede: si può fare anche in Italia giornalismo d’assalto in completo di lino bianco e scarpe "faux spats" o è necessario sembrare sempre appena scesi da una barricata?

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Stefania Vitulli