Il Novecento nella lente di Philippe Daverio
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Il Novecento nella lente di Philippe Daverio

Siamo già pronti a guardare e giudicare il secolo appena terminato? Ci prova un cronista d’eccezione

di Philippe Daverio

Il XXI secolo, quello nel quale viviamo oggi e del quale solo lentamente ci stiamo accorgendo, è probabilmente iniziato nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e la fine apparente d’una bipolarità fra capitalisti e comunisti, il che in arte voleva dire fra celebrazione delle avanguardie ed esaltazione d’ogni genere di realismo purché di sapore socialista, da quello sovietico e plumbeo a quello cinese e cartellonistico. Se così è, il XX secolo è stato veramente corto, come lo definì Eric Hobsbawm nel suo saggio fondamentale Il secolo breve - 1914- 1991: l’era dei grandi cataclismi. Le date d’inizio e fine del secolo breve e terribile, quello delle avanguardie appunto, ma pure quello dei maggiori massacri di massa che l’umanità abbia conosciuto, vengono impiantate dallo storico austriaco che viveva e insegnava in Gran Bretagna tutte e due a Sarajevo, la prima con l’assassinio dell’arciduca asburgico Francesco Ferdinando, la seconda con il discorso invocante la pace del presidente francese François Mitterrand sempre nella stessa città martoriata. Nella sostanza delle cose politiche è come se si fosse tornati lì, allo status quo, con la questione balcanica tornata centrale come agli inizi della tragedia; e nel frattempo il globo terrestre aveva assistito alla mutazione del capitalismo storico in quell’avventura sovietica che, iniziata con la rivoluzione del 1917, s’era conclusa con la caduta del Muro di Berlino e con una rinnovata affermazione dell’economia di mercato.

Il XIX secolo assume così una dimensione tutta diversa, per un certo verso colossale per la sua lunghezza che andrebbe misurata dalla Rivoluzione francese del 1789 alla deflagrazione suicida appunto della Prima guerra mondiale. Sicché questo lunghissimo Ottocento, secolo nel quale si formano Germania e Italia, si sviluppano i colonialismi inglese e francese, si vede crescere la muscolatura degli Stati Uniti d’America, si compiono le scoperte magistrali della medicina moderna, della fisica einsteiniana e quantistica, del vapore, del motore a scoppio e del volo aereo, delle onde hertziane e del telefono, ebbene questo XIX secolo appare come il vero secolo della modernità che si afferma. Si concluderà questo secolo lungo con il canto degli anarchici: «... ed urlan l’odio, la fame ed il dolore di mille e mille facce ischeletrite ed urla col suo schianto redentore la dinamite». Fu drammatica anticipazione della mattanza nelle trincee, quella che Louis Ferdinand Céline come Ernst Junger esalteranno nei loro romanzi. Si scioglieva così per sempre l’Europa liberale della Belle époque. Le nuove generazioni di arditi correvano alla morte con la baionetta innestata sulle nevi del Carso o fra i gas mostarda della Marna.

Queste avanguardie fatali ebbero una loro corrispondenza nelle avanguardie che avrebbero dominato la scena artistica del secolo Ventesimo che noi in Italia chiamiamo il Novecento. Prima della Grande guerra scoppiarono le anticipazioni cubofuturiste, con declinazioni trasversali che correvano fino alla Russia dei suprematisti alla Kazimir Malevič durante la guerra, o forse contro di essa, quelle dei dadaisti e dei primi surrealisti. Dopo la guerra questi semi gettati andarono a generare una serie successiva di avanguardie artistiche che sembrano essersi fermate solo nella polvere dello sgretolamento del Muro di Berlino. Il Novecento è oggi sufficientemente lontano da consentire di guardarne la crudele e affascinante prospettiva. Ma al contempo è troppo vicino ancora per potervi mettere un ordine storico utile a capire il punto apparente fermo al quale siamo giunti oggi.

Dal decandentismo viennese di Gustav Klimt alla nascita del razionalismo architettonico di Adolf Loos, l’architetto per il quale la decorazione andava messa in connessione diretta con lo spirito criminale e posta al pari del tatuaggio dei delinquenti comuni, dall’invenzione della musica atonale o cromatica alla scomparsa del melodramma, dalla radio vista da Theodor Adorno come strumento di dominio delle masse alla formazione dei totalitarismi, tutto dava l’impressione d’una cesura definitiva con un passato ormai revoluto. La nuova arte di massa era il cinema e ovviamente poi la nuova comunicazione sarebbe stata la televisione. Se il secolo XIX era stato secolo di innovazioni costanti nelle arti, dal neoclassicismo ai vari impressionismi ed espressionismi, il secolo breve successivo sarebbe diventato il momento delle sperimentazioni d’ogni genere, da quelle visive a quelle mentali. E se per il lungo periodo precedente erano stati protagonisti quegli stati europei, l’Inghilterra, la Francia, la Germania, dove nacque la rivoluzione industriale, in quello del secolo breve venivano alla ribalta protagonisti nuovi, gli Stati Uniti con la loro colossale forza economica o in più piccolo l’Italia, che in questo turbinio della produzione era entrata con ritardo. Ecco perché, dal futurismo in avanti, l’Italia delle crinoline di Giovanni Giolitti diventa l’Italia del Novecento fascista e poi quella dei tagli postbellici di Lucio Fontana, delle provocazioni di Piero Manzoni. In questo crogiolo trova la sua affermazione transnazionale la metafisica di Giorgio De Chirico e la sua densità solo apparentemente locale la poetica di Giorgio Morandi.

Ora il cannocchiale della storia inizia a rovesciarsi e la distanza si fa sufficiente per fare i conti prospettici. Le onde successive delle avanguardie si sono calmate in un mare incerto. È venuto il momento di riguardare il secolo breve, quello nostro in particolare, e scoprire la genialità musicale d’un Luigi Dallapiccola, la cruda indagine del neorealismo cinematografico, la lingua di Quasimodo, Ungaretti, Montale, l’architettura neoclassica che erroneamente viene attribuita al Ventennio e che fu invece a esso anteriore e seme di quella successiva. Chi si occupa di storia e di critica delle arti ha dinnanzi a sé un vasto ed eccitantissimo lavoro da compiere. Chi s’interessa da spettatore alla questione, un vero divertimento.

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