The New Yorker, Lo humour dei libri
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The New Yorker, Lo humour dei libri

"E poi sono un ottimo isolante!": un'irresistibile antologia di vignette smaschera vizi, cliché e contraddizioni dell'universo editoriale

Dissolvere l'aura seriosa che circonda l'editoria e il mondo dei libri: si può, gaberianamente, con la "satira che straripa". Da quasi novant'anni il New Yorker , prestigioso periodico di narrativa e coscienza critica della società americana e global, affida alle folgoranti intuizioni dei suoi vignettisti una lettura parallela del mondo della cultura. Il meglio di quegli affilati cartoons attraversa l'oceano fino a noi in un almanacco di raffinata fattura, a cura del francese Jean-Loup Chiflet e tradotto da Davide Tortorella: The New Yorker, Lo humour dei libri .

Dice Robert Mankoff, editor della sezione vignettistica del New Yorker, che in una vignetta il tratto è secondario, importa soprattutto l'idea. Dev'essere precisa, mordace, irriverente e ipersintetica. Lo humour dei libri offre un sofisticato campionario di queste idee disegnate, dedicate all'intero universo dell'industria editoriale: autori ed editori, critici letterari e librai, lettori, luoghi e generi letterari. Uno sguardo acuto sul mondo reale, una creatività libera dalle costrizioni del mondo reale.

"Congratulazioni! Il suo manoscritto è la milionesima autobiografia che abbiamo ricevuto quest'anno". Con allegro cinismo i vignettisti intingono il pennino nella piaga della bulimia editoriale, riproponendo in numerose varianti il fantozziano incontro tra editore e aspirante scrittore. I dialoghi sul "gran rifiuto" smascherano cliché, tic, ipocrisie e contraddizioni del mestiere ("Le spiego qual è il problema: fa ridere ma non è volgare"). A conferma dell'antica sentenza di René Julliard, fondatore dell'omonima casa editrice francese e scopritore di Françoise Sagan: quella dell'editore non è che "l'arte di sporcare con dell'inchiostro una carta costosa per renderla invendibile".

La satira sociale del New Yorker tiranneggia benevolmente noi lettori come tanti Gregor Samsa più o meno clandestini. Geniale la battuta del poliziotto che apostrofa un tizio sulla sedia a sdraio: "Mi scusi signore, Dostoevskij non è considerato una lettura da spiaggia. La prego di seguirmi". Ma il tasso di humour raggiunge l'apice quando il libro s'inserisce come terzo incomodo nella relazione di coppia, marito e moglie ("Devono essere intellettuali... parlano solo di sesso") o figlio-genitore ("Edna, non sprecare la televisione!").

"Libri su carta", si legge sull'insegna di una libreria in un'emblematica vignetta senza parole. Non poteva mancare, la satira del New Yorker, il bersaglio del vero spauracchio del sistema: la fine del libro. La prefigurata nostalgia per il gusto vintage di una copertina d'autore, la superficie ultra liscia di questa bella carta patinata, il corrosivo corsivo di questi chiari caratteri a stampa, le file di dorsi allineati sugli scaffali delle librerie, le librerie stesse trasformate in Starbucks.

Per il prossimo autunno, proclama il direttore editoriale in riunione, "abbiamo deciso di bypassare il consueto iter libreria-reminder... andiamo direttamente al macero". Il re è nudo. E questo libro ha un buonissimo odore.

The New Yorker - Lo humour dei libri
Archinto
pp. 192, 22,50 euro

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Michele Lauro