Mazzocco, Propaganda pop
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Mazzocco, Propaganda pop

La propaganda del ventunesimo secolo spiegata attraverso i suoi concetti chiave

Davide Mazzocco con il suo Propaganda Pop (effequ) ci sveglia, senza tante smancerie dalla sbornia consumista dell’ultimo trentennio. Il saggio ruota attorno al concetto di “propaganda” evidenziando come questa ormai pervada ogni aspetto della quotidianità, anche quelli che ci illudiamo essere più intimi e individuali, come le interazioni sociali.

Mercato, spettacolo e politica, evidenzia Mazzocco, sono ormai fusi in un unico blocco comunicativo, volto ad attrarre il pubblico di massa in una danza continua tra produttori e consumatori, governanti e governati. Questa sfrenata festa propagandista è scandita da poche parole d’ordine, che si succedono come un leitmotiv orwelliano: nuovo, libertà, giovinezza, consumi, fede, identità, ambiente, democrazia.

Parole d’ordine
La propaganda pop muove dal “nuovo”, che viene proposto in antitesi a tutto ciò che è ormai passato, fuori moda e da rottamare. Il nuovo, tuttavia, si rivela essere il vecchio stesso, solo “con un nome diverso”.

È il caso della presidenza di Barack Obama che, a una serie di errori commessi sia in politica estera che in politica interna, contrappone una narrazione accattivante (e decisamente cool) della famiglia presidenziale, fatta di Snapchat della first lady e di foto post-ristorante con la doggy bag contro gli sprechi alimentari.

La narrazione politica di Obama è stata copiata in Italia da Matteo Renzi – dal look, al linguaggio – ma anche il “rottamatore” italiano, all’indomani delle elezioni, è rimasto incastrato nelle logiche di Palazzo.

Al concetto di “nuovo” è strettamente legato quello di “libertà”: un termine che è stato depredato e svilito nel suo significato dalla propaganda politica (di nuovo viene in mente Orwell, “la libertà è schiavitù”). È il caso, sempre italiano, di Silvio Berlusconi. Il suo Governo della Casa delle Libertà, nonostante il nome, è quello della legge Bossi-Fini, della Fini-Giovanardi, dell’ “editto bulgaro” e, non in ultimo, delle violenze del G8 di Genova.

Esportare la democrazia
Anche la democrazia, come la libertà, è una parte sostanziale della propaganda politica. Si tratta di una democrazia che smette di essere una forma di governo per diventare un valore da esportare, a ogni costo e con ogni mezzo.

Una democrazia che è una liberal-democrazia, imperniata sul capitale e sull’andamento del mercato, una fetta importante del quale è dominata dalle big companies. Google, Facebook, Apple, per fare qualche nome, sono a capo di un impero che, grazie ad una sterminata banca di dati, declina il suo discorso dall’economia alla politica.

Sono dati forniti dai consumatori stessi, ormai oggetto e soggetto della propaganda, che spontaneamente affidano ai propri profili social e alle proprie ricerche un dettagliato ritratto individuale, di fruitore e cliente ma anche di soggetto politico.

L’immagine della nostra contemporaneità che ci lascia Propaganda pop è allora quella di un mondo occidentale legato in ogni aspetto della vita, persino quella più immediata e quotidiana, al mercato e alla propaganda. E le prospettive sociali che si aprono nel nostro immediato futuro sono davvero al limite della distopia.

Davide Mazzocco,
Propaganda pop,
effequ 2016,
142 pp., 13 euro

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Matilde Quarti