Se andassimo a lezione dal Louvre
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Se andassimo a lezione dal Louvre

Il successo di un museo arriva quando, anziché cercare più visitatori, decide di pensare di più ai visitatori.

Si può perdere mezzo milione di visitatori in un anno e non esserne affatto allarmati? Il più grande museo al mondo, il Louvre, nel 2013 ha registrato 9,2 milioni d’ingressi contro i 9,7 dell’anno precedente. Un meno 5 per cento che in Italia si sarebbe tradotto in titoloni funerei su gran parte dei giornali e che a Parigi, invece, è stato assorbito con assoluta nonchalance. A tranquillizzare tutti ci ha pensato infatti Jean-Luc Martinez, presidente del Louvre da pochi mesi: i numeri, ha fatto capire, non sono tutto. Le priorità per un grande museo oggi sono soprattutto altre. «Avere 10 milioni di visitatori è certamente una bella cosa» ha detto ai suoi, «ma forse è arrivato il momento di pensare “di più” al pubblico piuttosto che pensare ad “avere più” pubblico».

I numeri danno ragione al Louvre: che se ha perso mezzo milione di visitatori a Parigi, ne ha conquistati 900 mila a 200 chilometri di distanza, a Lens, dove una sede distaccata del museo è stata aperta con un’operazione innovativa ed esemplare, merito del predecessore di Martinez, Henri Loyrette, presidente del Louvre dal 2001. Città depressa del Nord della Francia, con un tasso di disoccupazione altissimo e nessun fattore di attrattività se non le miniere ormai riconvertite ad archeologia industriale, Lens dal dicembre 2012 ha aperto una nuova stagione della sua storia.

La dépendance del Louvre, progettata dallo studio giapponese Sanaa, non solo ha portato quasi 1 milione di visitatori ma ha garantito 400 nuovi posti di lavoro, cui si aggiungono i 300 previsti quest’anno fra assunzioni dirette e indotto. A Lens, Loyrette aveva affidato proprio a Martinez (già responsabile del dipartimento delle antichità greche e romane) l’organizzazione del nuovo grande spazio. E la Galleria del tempo da lui immaginata è stata una delle chiavi del successo del nuovo museo: un lungo spazio in cui 205 opere sono state disposte per raccontare al pubblico lo sviluppo della storia dell’arte a partire dall’antichità.

Una delle prime operazioni che Martinez da nuovo numero uno ha avviato è lo spostamento, proprio a Lens, degli immensi magazzini del Louvre, oggi tra l’altro a rischio di un’eventuale piena della Senna. Inaugurazione prevista, a cavallo tra 2017 e 2018. Ma l’agenda stilata da Martinez è una sintesi delle sfide che qualunque museo, grande o piccolo, dovrebbe prepararsi ad affrontare. Il neopresidente è partito dalle cose più semplici. Ha messo in cantiere un rifacimento dei 38 mila cartellini indicatori delle opere e dei pannelli informativi, con attenzione prioritaria al multilinguismo. Aiutare a capire e favorire la conoscenza: questa, ripete sempre Martinez, è la funzione di un museo, che non può più concepirsi solo a misura degli studiosi o degli artisti. Oggi, per esempio, il Louvre accoglie 800 mila studenti l’anno, abbandonati a una ritualità che produce solo disaffezione. Su di loro Martinez vuole invece investire, dedicando uno spazio nell’ala Richelieu, dove saranno presentate opere delle collezioni con intenti didattici. In aggiunta, nella stessa ala, mille metri quadrati verranno destinati agli insegnanti per offrire corsi di formazione e aggiornamento in storia dell’arte. «Per quanto ne so, non esiste niente di simile in altri musei del mondo» ha puntualizzato con orgoglio Martinez.

La valorizzazione delle raccolte diventa l’assoluta priorità, per cui il piano delle mostre «accalappia turisti» è stato molto ridimensionato. Risultato: la grande esposizione su Velázquez prevista per il 2015 è stata dirottata al Grand Palais. «Il nostro compito è far sì che chi viene al Louvre incontri meglio le opere. Dobbiamo fare un Louvre più accogliente e soprattutto più leggibile» ha spiegato Martinez a Le Monde, nella sua prima intervista. Per dar seguito a questo proposito, ha annunciato la sua scommessa più audace: portare le opere incontro al pubblico, presentandole per esempio nei luoghi di lavoro, per suscitare curiosità e attenzione in chi nel museo difficilmente metterebbe piede. «Sogno un museo più generoso» ribadisce sempre Martinez. Che sia il caso anche per i musei italiani di andare a scuola di Louvre?

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