Walter Fontana, 'Splendido visto da qui' - La recensione
Esquire, febbraio 1967 © Digital image, The Museum of Modern Art, New York / Scala, Firenze. Fotografia © Carl Fischer
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Walter Fontana, 'Splendido visto da qui' - La recensione

Se Dio creò il tempo perché le cose non accadessero tutte insieme, i dittatori della nostalgia hanno ri-creato il tempo assicurando a tutti una "felicità senza via di scampo". Ma non tutti ci stanno. Le avventure di uno spazzino alla riconquista del futuro. Anzi, del presente.

A cavallo tra apocalisse e parodia, science fiction e satira sociale, filosofia e fumetto, Aldous Huxley e Mai dire gol, metamfetamina e citrosodina, Splendido visto da qui è un creativo esempio di genere letterario poco frequentato: la fantascienza umoristica. Walter Fontana, scrittore e sceneggiatore cine-teatrale, costruisce un ultramondo a partire da un'idea geniale, semplice come tutte le idee geniali: Everything in its right place, per usare le parole robotiche dei Radiohead a inizio millennio. Tutto e tutti al proprio posto. Spazio & tempo segmentati in un loop che si autorigenera. Il futuro: abolito.

"C'è un piccolo trascurabilissimo pianeta azzurro-verde le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un'ottima invenzione". L'incipit della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, antesignana del fantacomico divenuta un cult negli anni Zero grazie anche all'omonimo film di Garth Jennings, conteneva in effetti uno spunto da valorizzare: "credono". Fontana immagina il genere umano vittima (o fortunata cavia) di una sperimentazione psico-tecnologica basata sulla ripetizione del passato. Fu quando il mondo apparve ormai senza speranza né prospettive, come una trottola agli ultimi giri in balia della grande apparenza.

Il successo dei primi parchi temporali a tema (riassaporare il gusto di certi biscotti, udire la puntina che solca il vinile, guardare uno spot in bianco e nero) fece scattare la molla: perché non codificare la finzione? Il Grande Fratello Buono organizzò allora il mondo in Zone militarizzate: anni 60, 70, 80, 90, Zero, più un Quartier Generale per coloro che lavorano per il governo, come il protagonista Leo. Che la racconta così: "Com'era quella frase? Ciò che nella storia appare in forma di tragedia la seconda volta appare in forma di farsa, la terza in dvd e la quarta come sedativo. Ecco, la quarta volta è dove vivo io e mi trovo benissimo".

La spy story ha ritmo e smalto ma soprattutto solletica i ricordi delle generazioni che hanno alle spalle qualche decade, nonché la fantasia di chi non ha mai conosciuto la mucca Carolina, assaggiato il Biancosarti o i formaggini Tigre. Quello che da principio era un impulso umano - la nostalgia del passato, legata non tanto a un tempo che non c'è più ma alle percezioni sensoriali degli oggetti rappresentativi di un'epoca - è stato replicato e replicato finché la sua matrice organica si è persa. La gente è naturalmente sottomessa agli oggetti-simbolo: non è stato difficile convincerla che la ripetizione era la formula più rassicurante per rinnovare la speranza. Cambiare per mantenere, mantenere per cambiare.

Mentre l'ansia esistenziale cova in sottofondo, Splendido visto da qui offre un formidabile catalogo di oggetti, ambienti e situazioni ricostruiti con grande attenzione ai dettagli. Dalle gemelle Kessler in Tv alla fragranza di figurine Panini, dal tonfo della legna nella stufa a carbone alla "tenace opposizione delle mutande Cagi a sconcertanti gonfiori mai sperimentati fino a quel momento". Ma proprio mentre noi lettori siamo traveller sempre più sognanti a zig zag nel tempo, i protagonisti paiono averne abbastanza della felicità preconfezionata.

È a quel punto che George Orwell torna a fare capolino, portando con sé alcune questioni interessanti. Per esempio il ruolo fondamentale della propaganda nel mondo perfetto della ripetizione simulata. In ciascuna zona si agisce (si re-agisce) in base a eventi riportati, riferiti, reintrodotti come reali. Ma la sfida dei dittatori della nostalgia è stata rimettere in circolo - depotenziate - anche le ideologie, le aspirazioni, i concetti complessi come quello di patria o di al di là. Con una grande operazione di marketing, sono stati anch'essi equiparati a oggetti. Che come tali quando ritornano non fanno più paura.

Man mano che le pagine del romanzo si assottigliavano avevo paura di rimanere deluso dal finale. Invece il sentiero narrativo di Walter Fontana procede spedito verso un epilogo intergalattico di arguta coerenza. Sulla soglia dove si sfidano humour e metafisica, nostalgie e paradossi, chiusa l'ultima pagina è quasi irresistibile la tentazione di giocare a Frasi Cose Zone, cioè chiedersi "in quale decade avrei preferito vivere".

Scommetto che pochi direbbero anni Zero, nonostante you tube e il suo mercatino del tempo virtuale. Io di primo acchito andrei a Settanta, ma forse il prog rock alla lunga mi stuferebbe. Più difficile è rispondere alla domanda delle domande: quanto ci siamo già dentro al grande inganno degli oggetti, la dittatura del remake?

Walter Fontana
Splendido visto da qui
Giunti
284 pp., 14 euro

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Michele Lauro