Tutti primi sul traguardo del mio cuore
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Tutti primi sul traguardo del mio cuore

Dalla penna di Fabio Genovesi, inviato davvero speciale al Giro 2013, un "on the road" alla scoperta dell'Italia tra ciclismo e altre avventure

"Sì, ma se non potevo diventare un corridore, come lo facevo io il Giro d'Italia? Non mi sono fatto prendere dal panico e ho buttato giù una lista di modi alternativi... infinite erano le vie per arrivare al Giro. E l'unica che non mi è mai venuta in mente è quella che alla fine mi ci ha portato davvero". Cioè essere assoldato dal Corriere della Sera per raccontare con la penna dello scrittore più l'Italia del Giro che il Giro d'Italia 2013: impresa in 21 tappe che Fabio Genovesi, notebook spesso sulle ginocchia lungo gli 8.500 km macinati in auto, porta brillantemente a termine da Napoli a Brescia insieme con il fido autista Enzo.

Una sorta di "diario parallelo" che, pur non perdendo mai di vista l'andamento della gara, si perde invece in rocambolesche avventure stradali (come quella che vede Fabio ed Enzo smarriti in un imprecisato punto tra l'Italia e la Slovenia) e incontri tra il mitologico e il surreale: da quello con "Il Diavolo di Tashkent", al secolo Djamolidine Abdoujaparov, campione assoluto della pista e idolo dell'autore, a quello con Mimmo Minnini, di cui google non riporta alcuna traccia ma che un assessore calabrese assicura essere uno dei più grandi poeti ancora viventi...

Un racconto a più protagonisti che, tra tante emozioni (inclusi l'hotel di Napoli in cui dormì John Fante e l'aquila avvistata nella 20ma tappa Silandro-Tre Cime di Lavaredo) e qualche delusione (come il micro-monumento al gigante Rocky Marciano scovato in una rotonda di Ripa Teatina, suo paese natale), porta al traguardo tutta la passione di Fabio Genovesi per il ciclismo. Al quale va anche l'accorata difesa dello scrittore toscano contro chi vede nei corridori solo un gruppone di dopati: "... prima di aprire bocca e dire la solita cazzata, guardateli bene i ciclisti. E non chiedetegli quanti hanno: li portano tutti male. Perché i ciclisti invecchiano. I ciclisti li consuma la polvere, li scava il sudore, li cuoce il sole e li secca il freddo. Vengono giù per tornanti a strapiombo sul nulla, così veloci che le auto prima di loro devono partire con grande anticipo, altrimenti i ciclisti le riprendono. Esatto, in bici riprendono le auto. E non c'è doping che aiuti, in discesa".    

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Paolo Corio