Philippe Leroy: i Profumi della mia vita avventurosa
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Philippe Leroy: i Profumi della mia vita avventurosa

Intervista all'attore francese trapiantato in Italia, che a 82 anni racconta la sua esistenza in un libro-testamento dedicato alla famiglia al quale, però, manca un capitolo...

Philippe Leroy arriva in motorino a piazza del Popolo, a Roma. Luogo del nostro appuntamento è la medesima caffetteria dove, 51 anni fa, fuggitivo dalla Francia per motivi politici, aveva incontrato l'amico e attore Vittorio Caprioli che lo introdusse nel cinema italiano. L'attore francese, 82 anni compiuti il 15 ottobre e festeggiati con l'ennesimo lancio dal paracadute, è sposato dal 1990 con Silvia Tortora ed è padre di cinque figli.

La sua esistenza rocambolesca e avventurosa è descritta nel libroProfumi(208 pagg., 20 euro), autore Philippe Leroy, pubblicato dall'editore Campanotto. A corredo del testo una straordinaria galleria fotografica che documenta per immagini, nei vari capitoli, gli eventi descritti. Con in più una selezione di poesie di cui l'attore è anche autore. In questa lunga intervista esclusiva, Leroy spiega il significato del libro-testamento nel quale ha scelto di raccontare solo gli episodi salienti e più stravaganti della sua esistenza, senza nulla concedere alle tragedie e ai momenti bui che pure hanno riempito i suoi anni. E si abbandona anche ad altre riflessioni.

Perché chiama Profumi un libro-testamento?
"Io sono sempre vissuto lontano dalla mia famiglia sparsa per il mondo, perciò ho voluto che le restasse un mio ricordo, una sorta di testamento. Non si tratta di un'autobiografia, ma di un'occhiata all'indietro senza mai evocare fatti e ricordi familiari, ma solo miei personali".

C'è un capitolo mancante nel libro. Qual è?
"È quello che racconta, con ampia documentazione fotografica, la mia visita in Afghanistan, lo scorso aprile. Ho voluto portare personalmente la mia solidarietà al contingente italiano impegnato in una guerra che non sarà mai vinta. Tutti lo sanno ma nessuno lo vuole dire. Chiesi al reporter Daniel Papagni, che aveva già operato in Afghanistan come fotografo, di portarmi con sé. Lo Stato Maggiore dell'esercito italiano si dimostrò entusiasta di presentare ai soldati qualcuno che non fosse il solito ministro di turno che arrivava e partiva nel giro di qualche ora. In quei dieci giorni di permanenza, ho tenuto un minuzioso diario di quanto accadeva soprattutto a Herat, centro operativo della zona affidata ai parà italiani ai carabinieri agli aviatori, agli artiglieri".

Che ricordi ha di quella lunga visita?
"Il gran caldo era compensato da un ottimo cibo. Ma è stata soprattutto l'accoglienza dei militari ad emozionarmi. Neppure su tutti i set dei miei film sono stato tanto fotografato. Ho anche partecipato ad alcune azioni, cavandomela sempre abbastanza bene. Alla fine le mie vecchie ossa hanno resistito. Questo capitolo mancante nel volume in italiano si chiama proprio Come i talebani mi hanno snobbato, malgrado le mie provocazioni. Sarà inserito nell'edizione francese di Profumi di prossima pubblicazione".

La vita militare non era certo una novità per lei.
"Ho ricevuto due decorazioni della Legion d'onore per le campagne di Indocina e Algeria alle quali ho partecipato, quindi sapevo a cosa andavo incontro. Non solo, ma essendo paracadutista io stesso, ho accompagnato i paracadutisti italiani durante le operazioni".

Lei ha attraversato, con la sua vita avventurosa, quasi tutto il '900. Il secolo non deve avere segreti per lei.
"Io non ho raccontato nel libro tutta la mia vita, mancano, tra gli altri, i periodi in cui ero in Messico e a Tahiti. La sensazione, però, è che vivevamo in un'epoca più serena, senza la paura quotidiana di essere violentati, privati delle cose a cui più siamo legati. Nel corso dei capitoli, il lettore si rende conto che anch'io ho fatto, durante tutta la mia vita, errori colossali, scelte sbagliate con l'orgoglio e la consapevolezza di quanto facevo. Le sfide si pagano".

Il suo primo film del 1960, Il buco, è un cult non solo in Francia. La sua interpretazione faceva presagire un futuro da grande attore.
"Invece io non volevo fare l'attore. A 17 anni mi sono imbarcato come mozzo su un transatlantico diretto a New York e solo molto tempo dopo il mio ritorno in Francia mi sono avvicinato alla professione d'attore. Accadde proprio con quel capolavoro drammatico-minimalista che è stato Il buco. A recitare eravamo cinque attori non professionisti e non immaginavo di continuare. Fino a quando, proprio nella caffetteria dove ora siamo, ho incontrato il mio amico Vittorio Caprioli. 'Philippe, cosa fai qui?' mi disse in un francese approssimato. E quando seppe che ero scappato dalla Francia ed ero senza lavoro mi offrì un ruolo nel suo primo film. Tirai un sospiro di sollievo. Devo dire che nei momenti più bui, la fortuna non mi ha mai abbandonato.

Lascia dunque i Profumi della terra francese e comincia a respirare quelli italiani.
"Sì, quando mi comunicarono che ero schedato, piuttosto che essere arrestato, tra il Belgio dove piove sempre e l'Italia che è il paese di O sole mio, ho scelto il vostro paese. E via, attraverso il Colle del Gran San Bernardo. Valicato il passo, respirai i primi profumi italiani".

Da allora l'Italia è la sua seconda patria.
"Presi in affitto un bilocale al quinto piano senza ascensore vicino al Pantheon, arredato solo da un letto, due sedie, un tavolo e una radiolina. Ma mi godevo la dolce vita dell'epoca, guardavo Liz Taylor e Richard Burton assediati dai paparazzi, e cominciavo a lavorare, anche se in film di serie B che però mi fecero notare e che non disconoscerò mai. Confesso che sognavo di recitare con grandi attrici e di tenerle tra le braccia. Un nome? Virna Lisi, era la più bella di tutte".

Cosa pensa degli italiani?
"Anche se, in generale, ritengo che siano caciaroni, che si atteggino a latin lover e permettano tutto ai propri figli, gli italiani si fanno voler bene perché sanno essere generosi. Mi hanno adottato, coccolato, ricoperto di premi, onori e decorazioni. Mi hanno soprannominato Il Mito, mi vogliono un bene sincero e mi stanno accanto come una famiglia".

Riesce a ricordare tutti i film che ha interpretato?
"Certo. Solo in Italia ne ho all'attivo 189 e più di una trentina in Francia. Ricordo tutto di ognuno. Il misterioso meccanismo della memoria per me funziona a meraviglia. Non lo avrei creduto possibile".

C'è qualche film che, in seguito, si è pentito di avere interpretato?
"Il più mortificante per la mia vanità di maschio fu Il treno del sabato, in cui recitavo la parte del cornuto. Vorrei non aver mai fatto invece, Amore in quattro dimensioni. Erano, però, pellicole in cui recitavano i più famosi attori italiani dell'epoca".

Quando cambiò la sua vita, non solo professionale?
"Avevo quarant'anni quando Renato Castellani, che diventerà il mio maestro, mi chiamò per interpretare La vita di Leonardo da Vinci. Era la svolta. Ma avevo seri dubbi. Mi chiedevo: come posso io, francese, interpretare un genio italiano? Gli italiani si rivolteranno. Capii di essere riuscito quando un giorno Castellani mi disse: vedrai Philippe, ti resteranno i tic di Leonardo".

Gli italiani la ricordano anche per il ruolo di Janez de Gomera nello sceneggiato Sandokan.
"Quel prodotto catturava ogni sabato sera 30 milioni di spettatori. I mesi trascorsi in Malesia e a Madras, oggi Chennai,  per effettuare le riprese: restano il più bel regalo che mi abbia fatto il cinema".

Lei è anche paracadutista. Come mai si è avvicinato a questa disciplina?
"Un giorno del 1986 ho incontrato un giovane istruttore che me l'ha fatta scoprire. Per me rappresenta il vero rapporto tra cielo e terra, anche se porto i segni dell'ultimo lancio effettuato lo scorso 15 ottobre per festeggiare il mio 82esimo compleanno. Un atterraggio non felicemente concluso mi ha dato problemi all'anca. Dovrò subire una piccola operazione per cui ho dovuto rinunciare a un ruolo prestigioso in una fiction di lunga serialità in Francia".

Cosa pensa dell'attuale situazione del cinema italiano?
"Non ci sono più i grandi maestri di una volta e sono pochi gli attori bravi. Penso inoltre che si racconti troppo la vita quotidiana, non si dia più spazio all'evasione, genere che, invece, dovrebbe essere valorizzato, soprattutto  in periodi di crisi come l'attuale. Bisogna però dare fiducia ai giovani con i quali mi piace lavorare".

Lei è da 50 anni in Italia. Come è cambiato il nostro paese?
"È radicalmente mutato. Quando tornavo momentaneamente a Parigi tutti mi invidiavano per il fatto che abitavo a Roma. Oggi per l'Italia, ma anche per la Francia, c'è da sperare in un cambiamento totale".

Crede anche lei che la politica sia lontana dai cittadini?
"Bisogna pensare al paese, non alle poltrone, io ho dei valori profondi e radicati, alcuni atteggiamenti della politica non li capisco. La gente ha bisogno di certezze. Pensi che dopo 50 anni di lavoro nel cinema in Italia, percepisco una pensione di 1014 euro mensili".

Dopo una vita così singolare e avventurosa, cosa si attende ancora?
"Sono un uomo sposato e ho dei doveri verso mia moglie e i miei figli. Se non avessi responsabilità familiari mi dedicherei solo alla spiritualità".

Profumi
di Philippe Leroy
Campanotto
208 pagg., 20 euro

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Marida Caterini.