Perché Murakami non vince il Premio Nobel
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Perché Murakami non vince il Premio Nobel

L'autore giapponese è il portabandiera di una schiera di grandi scrittori ogni anno superfavoriti, ma che non riescono mai ad arrivare al podio

Haruki Murakami sta al Premio Nobel come Leonardo DiCaprio sta all’Oscar. Dopo la notizia della vittoria dello scrittore francese Patrick Modiano, un pensiero non può che andare all’ormai eterno secondo giapponese, da anni in cima alla lista dei superfavoriti per il più importante riconoscimento letterario.

Come per DiCaprio, anche Murakami è in buona compagnia. Portabandiera di una categoria di grandi firme che potrebbero apparire con naturalezza nell’albo d’oro del premio svedese e che invece non ce l’hanno mai (o ancora) fatta. Pensiamo a Philip Roth, Umberto Eco, Dacia Maraini, Don DeLillo, Margaret Atwood. Tutti autori che compaiono ogni anno nella lista dei papabili, ma che per qualche motivo si vedono soffiare il Nobel da altri importanti nomi, che però spesso non sono nemmeno considerati dai bookmaker.

Ma qual è il motivo?

Che l’Accademia di Svezia sia attenta, autorevole e seria non lo mettiamo nemmeno in dubbio. Ma può salire il sospetto che ci sia una sorta di involontario snobismo, per esempio, nei confronti del successo in libreria. Murakami, come altri suoi colleghi, ha dalla sua non solo una spiccata qualità letteraria, per stile, temi e poetica, ma anche un’aura da ‘rockstar’ del libro. Milioni di copie vendute in tutto il mondo lo inseriscono senza dubbio nel patrimonio letterario e culturale di buona parte del pianeta.

Che questa carica popolare non sia considerata in Accademia prova di alta cultura letteraria? Può essere: è raro che gli autori che vendono si vedano assegnato il Nobel, quasi come se il successo commerciale venga percepito come un difetto.

Ovviamente c’è anche l’altra faccia delle medaglia. L’Accademia di Svezia motiva sempre in modo convincente e autorevole le proprie decisioni, assegnando il Premio a nomi che raramente risultano fuori luogo. Anzi, va dato il merito agli accademici di Stoccolma di portare alla ribalta firme che altrimenti rimarrebbero relegate in nicchie per soli letterati.

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Andrea Bressa