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Perché D'Avenia piace tanto

È in cima alla classifica con un libro su Leopardi. È seguito dai ragazzi come fosse una rockstar. Gli abbiamo chiesto il suo segreto

Il ministero dell’istruzione ha chiesto a tre milioni e mezzo di studenti quali libri vorrebbero nelle scuole. Su dieci titoli scelti, tre erano firmati da Alessandro D’Avenia. Il quarto del professore bestsellerista non avrebbe avuto alcuna possibilità di figurare, perché è uscito da poco, piazzandosi subito in testa alle classifiche.

Si intitola L’arte di essere fragile. Come Leopardi può salvarti la vita, un cortocircuito ardito fra la Recanati del poeta e l’Italia dei social network e di X Factor. Dal libro, D’Avenia ha tratto anche un racconto teatrale in giro per l’Italia, con il risultato che in un quarto d’ora, ovunque, i biglietti sono andati esauriti. In alcuni casi, il firma-copie a fine spettacolo è durato sei ore.  

È vero che questo trentanovenne ha scelto di insegnare dopo aver visto L’attimo fuggente ("Capitano o mio capitano" e i ragazzi in piedi sui banchi) con tutta la mistica sul nobile lavoro di passare saperee consapevolezza di sé. È vero che c’è fame di mentori. È vero che nella società liquida è l’approdo sicuro che si brama, ma rimane il quesito: perché D’Avenia?

Già, perché proprio lei?
Non ho effetti speciali, se non la parola.Anch’io mi chiedo: cosa sta succedendo?

E come si risponde?
Questi ragazzi hanno una gran sete di senso e di significato. Li sta massacrando il nichilismo del consumismo: li riempiamo di oggetti e nessuno ha detto loro in che direzione camminare e dove sta la cima. È come se gli avessimo dato il bugiardino della vita, le istruzioni sintetizzate, il "come" ma non il "perché".

Lei insegna in un liceo privato lombardo d’élite: gli studenti della Milano-bene sono un campione attendibile della loro generazione?
In questi anni ho molto girato l’Italia. Ho incontrato migliaia di ragazzi, li ho ascoltati. Mi scrivono in tanti, tantissimi. Credo di aver capito quale sia il cuore profondo degli adolescenti. 

I cosiddetti "millennial": sono meglio di come vengono descritti di solito? Apatici, egoisti, superficiali, deboli...
Se uno sente i tg,  questo è il ritratto. Ma se li si guarda da vicino, ci si accorge che hanno capacità, inventiva. In tasca hanno il mondo con internet. Però, proprio perché sono immersi nel mondo, si sentono smarriti: non hanno categorie per interpretarlo, non gliele abbiamo date.  

Genitori, scuola, società: chi latita?
Vedo tantissima solitudine nei giovani. È singolare che si confidino con me invece che con un famigliare. I genitori devono tornare ad allearsi con le realtà educative, non andare a scuola chiedendo di risolvere un problema o per difendere la figlia dai brutti voti. Una volta, ho chiesto a uno dei miei studenti quale fosse stato l’episodio più significativo degli ultimi anni: "Una telefonata di mio padre mentre stavo studiando. Mi sorprese e mi preoccupai perché non mi chiamava mai. Mi disse: “Niente, volevo sapere come stavi”. Capisce? La cosa più importante è stata una telefonata del padre, superavvocato, molto impegnato... La felicità si misura sulla qualità delle relazioni. 

A proposito di scuola scrive che la vorrebbe come il suo libro. Ovvero?
Una scuola fatta per interrogarsi, non per le interrogazioni. Solo se coltivi la tua vita interiore puoi possederti e dopo, donarti agli altri. I ragazzi devono essere, prima di darsi. 

Ma non è ambiziosa e un po’ forzata l’equazione Leopardi uguale giovani di oggi?
La faccio sul cuore profondo dell’adolescenza. Sì, è ambiziosa, ma io sono ambizioso. Leopardi come Dante è stato uno scienziato dell’umano. Ci ha spiegato che cosa c’è di umano nell’uomo. E da lì non si torna indietro.

Perché Leopardi confessa nello Zibaldone di voler scrivere una lettera a un giovane del XX secolo? 
La poesia intercetta in anticipo le parole che gli uomini perderanno.

Spieghi per favore il concetto...
Aveva capito che l’idealismo sposato al progresso borghese, all’indolenza da divano, ci avrebbe spento e allora ci dice di guardare alla bellezza, alla ginestra che profuma il deserto.  

Certo che è singolare usare Leopardi, incarnazione del pessimismo cosmico, come grimaldello per dare energia e senso del vivere ai ragazzi di oggi.
Se lui, nato a Recanati, limitato dalla salute e dal padre, è riuscito a trovare un senso all’umano e a scrivere: "Preferisco essere infelice che piccolo e soffrire piuttosto che annoiarmi", perché un ragazzo di oggi non dovrebbe trovare il proprio centro, la propria vocazione? 

La noia. Lei distingue il "non sapere cosa fare" dalla noia figlia "dall’essere privati del proprio destino".
Non sappiamo che cosa fare perché non sappiamo chi siamo. Riempiamo le giornate di oggetti e occupazioni che ci distraggono dal domandarci quale sia il nostro posto nel mondo. È  per l’appunto la mancanza di vocazione. 

A lei è arrivata con Robin Williams nei panni del professor John Keating.
Ho un fuoco. Sto nel posto giusto, dove volevo essere. 

Confessa nei ringraziamenti che questo libro l’ha cambiata. Come?
Sulla soglia dei 40 anni ho fatto un bilancio della mia vita «usando» Leopardi: con quello che ha sofferto, quanto ha fatto! Ciò che è cambiato è il mio modo di essere scrittore e professore, perché per la prima volta ho mischiato saggistica e narrativa e per la prima volta non mi sono accontentato dei miei 20/25 alunni ma sono arrivato a migliaia di persone. Ho fuso le mie due identità. 

Un nuovo D’Avenia?
Nuovo no. È il compimento di un percorso che intuivo. 

... Spinto dall’Attimo fuggente e dall’Infinito.
La siepe che il guardo esclude. Il limite. 

Ma ce ne sono ancora?
Si evita il limite massimo che è la morte. I giovani sono inermi di fronte all’idea della morte, spaventati dal dolore, dalle cadute, dal fallimento. E invece è proprio il confronto con il limite che ti fa vedere oltre, che genera l’immaginazione.

Vietato essere "sfigati", non è così?
È tutto basato sulla prestazione. 

Prova ne è che a 16 anni i ragazzi usano il Viagra.
È l’infinito senza la siepe. Non c’è il limite, si va...

Dura però far passare l’idea del nero della vita mentre imperversa la cultura dello sballo, dell’anticonformismo...
Fin da piccoli molti bambini crescono senza i "no", di cui invece c’è bisogno. 

Nel libro racconta casi di anoressia, di suicidi giovanili, di depressione.
Quando ho iniziato ad insegnare, nel 2000, non c’erano ragazze anoressiche in classe, oggi ne ho almeno una o due. Senza contare chi si fa del male per far parlare il corpo al posto loro e sentirsi vivi o dare una ragione alla propria vita. Parlano con i tagli perché spesso nessuno li ascolta. Le famiglie si sono indebolite.   

Gli butta la croce addosso?
Io sono stato fortunato, noi siamo sei fratelli, sono il terzo. Ho un posto dove non devo dimostrare niente. Vogliamo ridare alla famiglia questo spazio? Essere un luogo dove vai bene e in caso c’è chi ti  aiuta? I ragazzi hanno paura di prendere degli schiaffi dalla vita, nel libro racconto del dolore provato quando avevo 17 anni: la depressione di mio padre. Ferite ne abbiamo tutti. 

Lei parla anche della sua fede in Dio. Ma se uno non ce l’ha, dove lo trova "il senso" che tanto cita?
Se fa qualcosa di bello, se lascia un segno anche un laico trova il senso.  

Poesia, letteratura, bellezza: propone ai suoi ragazzi di frequentarli. Non è una fuga dalla realtà? Dall’impegno?  
Le cito il Riccardo III: "Solo quando l’anima è pronta, allora anche le cose sono pronte". Se non hai l’anima, che cosa porti alla politica? 

Quasi l’80 per cento dei giovani ha votato No: come lo spiega?
Non c’è lavoro. E c’è lo schiavismo silenzioso di pagare 400 euro al mese un ragazzo. 

Professore 2.0, mentore o bestsellerista: in quale definizione si riconosce?  
Adesso, le tre cose insieme perché ho seguito la mia vocazione.

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ALESSANDRO D’Avenia
39 anni, palermitano, insegna Lettere in un liceo di Milano. Il suo romanzo d’esordio, Bianca come il latte, rossa come il sangue è stato un caso editoriale nel 2010. L’ultimo libro, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita (Mondadori) ha venduto 250 mila copie in un mese. D’Avenia ne ha ricavato anche un racconto teatrale che da gennaio riprenderà a girare l’Italia, una città al mese (regia di Gabriele Vacis, contributo artistico di Roberto Tarasco). 

Informazioni sul sito dell’autore.

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Stefania Berbenni