Fumetti: Salvador Dalì proibito
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Fumetti: Salvador Dalì proibito

Il fumettista Paco Roca racconta il lato oscuro del grande artista catalano

Quando Salvador Dalì decise di aderire al movimento surrealista nel 1929, lo fece con un quadro intitolato il gioco lugubre. Osservandolo col senno di poi, è facile riconoscervi l'influenza delle teorie di Freud, allora molto in voga. Le allegorie sessuali emergono con prepotenza dalla tela mischiandosi a immagini fluide e angoscianti, tipiche del sogno. Si tratta senza dubbio di uno dei quadri più scandalosi di Dalì. L'elemento scomodo delle sue retrospettive che, oggi, a più di 80 anni di distanza torna a far parlare di sé, grazie a un graphic novel del talentuoso fumettista spagnolo Paco Roca, intitolato proprio Il gioco lugubre (Edizioni Tunuè, 10,63€).

La storia è in realtà ispirata al diario di Jonas Arquero, segretario di Dalì nel periodo successivo all'instaurazione della dittatura franchista in Spagna. E lugubre è l'aggettivo che incorona un periodo di "ardite" sperimentazioni artistiche. Sadomasochismo, riti orgiastici, torture: nel fumetto/racconto di Roca il grande artista catalano mostra il suo lato più oscuro. Sebbene un'accorta miscela di finzione e realtà faccia venire il dubbio che tutti i fatti narrati siano accaduti davvero. Visto che, tra l'altro, il pittore raccontato da Roca si chiami non Salvador Dalì ma Salvador Deseo (nom de plume a prova di querela, ndr).

Ma gli appassionati di arte e di thriller avranno ciò che si aspettano: un romanzo gotico a fumetti costruito in modo classico, coi buoni (l'assistente provinciale e ingenuo del grande artista) e i cattivi (l'artista e il suo entourage notturno). E con un disegno che, pur lasciando poco all'immaginazione, è in grado di rendere più lieve quella miscela di amore e morte che sembra essere l'ingrediente principale del surrealismo di Dalì (e della sua vita).

In un'appendice alla fine del libro, Roca racconta di come ha scovato il manoscritto di Arquero e ne approfitta per restituire un ritratto inedito del pittore che era solito liquidare i suoi numerosi detrattori con un'aforisma/manifesto: "Non sono io il pagliaccio,ma lo è questa società mostruosamente cinica e così ingenuamente incosciente che gioca a fingere di essere seria per  meglio nascondere la propria follia".

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Eugenio Spagnuolo