Nicolai Lilin: 'Le mie paranoie, un format di successo'
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Nicolai Lilin: 'Le mie paranoie, un format di successo'

L'autore del discusso best-seller Educazione siberiana è il conduttore de Le regole del gioco, programma tv in partenza il prossimo 2 febbraio sul canale Dmax

Gli urka siberiani gli avevano insegnato che d’ogni uomo si può avere pietà, ma non di chi riversa la sua libidine malata sul corpo di un bambino. Era stato il nonno a spiegargli il codice da attuare di fronte a un pedofilo conclamato: fornirgli un cappio e cinque ore di tempo per usarlo. Diversamente, la condanna sarebbe stata eseguita dagli urka medesimi, strappandogli la vita a mani nude, insieme a brandelli di carne e pelle. "Adesso è toccato a me incontrarne uno, e non so come diamine ho fatto a trattenermi dall’ammazzarlo di botte" racconta Nicolai Lilin. "Quello che avevo davanti non era un uomo, era il diavolo in persona".

Sono stati gli autori di Le regole del gioco, programma in partenza il prossimo 2 febbraio sul canale Dmax, a organizzare l’incontro. Preceduto, ricorda lo scrittore, da una serie di firme di manleva vergate davanti al direttore dal carcere di Viterbo preoccupato di garantire l’incolumità dei suoi detenuti. Uno dei 4 viaggi che l’autore del discusso best-seller Educazione siberiana (dal 28 febbraio anche al cinema grazie alla trasposizione firmata da Gabriele Salvatores ) ha compiuto per il suo debutto assoluto da conduttore televisivo, infiltrandosi in mondi estremi e poco conosciuti come quello dei collezionisti d’armi da fuoco, dei contractor privati e dei cultori della Mma, la "mixed martial arts", combattimenti di arti marziali miste.

Riconosciuto da cinema e tv, non ha paura d’innamorarsi troppo di se stesso?
Molta paura. La tv è diabolica.

Basta essere spontanei.
Non è vero. Devi lavorare sulla tua immagine. Se non sei vanitoso, non funzioni.

Ha un cilicio contro la vanità?
Mia mamma. Che mi ricorda l’umiltà del luogo da cui proveniamo e che, se non riceve una mia telefonata almeno una volta al giorno, dice: «Nicolai, dimmi, cosa succede dentro di te?». A tenermi a terra, poi, ci sono le frasi di mio nonno.

Quella che le rimbomba più spesso in testa?
Ricordati che un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare.

Nel suo viaggio per Dmax ha intervistato collezionisti d’armi del Nord Italia. Ritiene ci fossero tra loro soggetti pericolosi?
Direi di no. Ma di esaltati ne ho visti. Anche di incapaci. Io possiedo due licenze per il porto d’armi e alcuni fucili, e da frequentatore del poligono m’è capitato di dovere disarmare gente inetta: ricordo un tizio cui s’era inceppata la pistola e tentava di sbloccarla rivolgendola verso di me, col colpo in canna.

Cosa pensa della strage nella scuola di Newtown?
Avevo una fidanzata in Texas, il cui padre possedeva 30 fucili d’assalto. Sa dove li teneva? In giardino, nella casetta degli attrezzi. Qualsiasi pazzo avrebbe potuto prenderli e uccidere. Ecco perché succedono le stragi.

Lavorando nella sicurezza privata le è mai capitato di sventare un pericolo mortale?
Nel 2003, in Afghanistan, ho arrestato un terrorista islamico con 8 chili di esplosivo nello zaino.

Come aveva colto i segnali?
Grazie agli anni in Cecenia. Lì ho imparato che se vedi un giovane vestito di bianco, rasato e profumato, con uno sguardo di disperazione negli occhi, significa che va a morire.

Il suo ricordo più terribile di quegli anni?
In Iraq, dove agivano contractor assoldati da un colosso americano delle costruzioni, specializzato in impianti petroliferi. Erano nazisti, con le svastiche appiccicate alle uniformi. Scendevano in città e sparavano ai civili, falciandoli con la mitragliatrice.

Spinti da un’ideologia di pulizia etnica, forse.
Senza alcuna ideologia. Sniffavano coca e andavano a divertirsi.

Non s’è mai sentito un servo lavorando alla protezione degli oligarchi russi?
No. C’era un rischio effettivo, mica portavo le mogli dal parrucchiere. Al contrario, ho avuto il privilegio di vedere i potenti spogliati di ogni potere. Se davanti a un’auto sospetta avessi deciso di voltare lo sguardo, tutti i loro soldi non sarebbero serviti a nulla.

Le capita ancora di vivere paranoie da vita militare?
Sempre. Per scendere o salire dall’auto uso modalità operative. Camminando per strada scruto i tetti, in cerca di canne di fucile. Gli psicologi, purtroppo, non sono riusciti a guarirmi.

Le è mai capitato di spaventarsi e assalire qualcuno?
È successo dopo l’uscita di Educazione siberiana. M’ero appena comprato una casa in campagna e mi stavo rilassando sul divano, quando vedo due tizi avvicinarsi alla porta e infilare le chiavi nella serratura. Mi alzo, prendo la pistola e spingo forte la porta, facendoli cadere a terra. Chi siete? Dove sono le armi? Urlo, puntandogli l’arma in faccia. Erano due agenti di Tecnocasa convinti che la villa fosse ancora vuota.

Lei ha fatto prima una vita rischiosa, ma hanno attentato alla sua vita ora che è famoso...
Sì. Con una bomba piazzata nella mia auto: rudimentale ma funzionante, 1 chilo d’esplosivo da artiglieria marittima. Ho visto il relé d’innesco piazzato sotto la ruota. Il cavo portava dritto alla carica. Sistemata sotto il seggiolino di mia figlia.

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Raffaele Panizza