"Narcopolis" di Jeet Thayil, affresco lascivo dell'India
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"Narcopolis" di Jeet Thayil, affresco lascivo dell'India

Fra oppio ed eroina, slum e dannati: Bombay, una città alla deriva della storia

Sono "racconti notturni che svaniscono alla luce del sole" dice Jeet Thayil di Narcopolis , romanzo assai conteso all'ultima Fiera di Francoforte e tradotto ora da Vincenzo Migiardi per Neri Pozza. Poeta-musicista noto anche per le sue provocazioni, l'ultima delle quali durante il recente Festival della Letteratura di Jaipur dove ha recitato brani dai Versetti Satanici di Salman Rushdie, il keralese Thayil travasa in Narcopolis la sua ventennale esperienza da tossicodipendente. All'inferno e ritorno nel girone di Bombay, che nel frattempo ha cambiato nome e, per sempre, identità.

Mentre dà voce all'"altro Io", la scrittura di Jeet Thayil è bulimica e debordante. Immaginate un Borroughs che per le sue storie alcoliche attinge alla storia dell'India e alla sua letteratura, musica, poesia e religione, immaginate un Rushdie in preda a fantasie narcotiche che si perde in mille rivoli secondari: dalla Cina della rivoluzione culturale alle provocazioni dell'arte contemporanea, dalla gentrificazione di una metropoli millenaria alle Applicazioni della reincarnazione commentate da una prostituta analfabeta.

Molte derive si seccano strada facendo, ma la coerenza deve per forza guidare in ogni istante uno scrittore? Bombay è protagonista di innumerevoli capolavori - il magnifico Bombay Time di Thrity Umrigar e il recente La città color zafferano di Gyan Prakash sono due letture da consigliare - ma le memorie del sottosuolo scolpite in Narcopolis sono l'affresco lascivo che sta all'India degli ultimi trent'anni come probabilmente le pitture rupestri di Ajanta (perla del Maharashtra) stavano alla società indù del II secolo a.C.

L'oppio è il capitalismo, ha affermato Amitav Gosh, che nella sua cosiddetta Trilogia della Ibis (il secondo volume, Fiume di oppio , è uscito nel 2011 fa sempre per Neri Pozza) narra la lunga storia della competizione anglo-indiana per il commercio della droga destinata ai mercati cinesi, nei primi decenni dell'Ottocento. Come ha spiegato anche lo storico Amar Farooqi in Bombay - Opium City, furono gli inglesi a imporre la monocoltura dell'oppio nelle campagne del Maharashtra, del Rajasthan e del Gujarat. In diretta applicazione delle idee di Adam Smith, che pochi anni prima (1776) aveva pubblicato il libro chiave del capitalismo, La ricchezza delle nazioni , i colonizzatori si inventarono una merce dalle uova d'oro creando una massa di addicted, tossici. Così anche l'imprenditoria indiana cominciò con l'oppio, trasportandolo dal porto di Bombay fino a Canton in sfida al monopolio britannico.

È questo il retroterra storico-culturale che negli anni 70 vede ancora fiorire a Bombay gli ultimi khana, le fumerie d'oppio attorno alle quali si sfaccenda un'umanità sgangherata. Giungono fin qui gli ultimi hippies al termine del leggendario Hippie Trail, attratti dagli artificiali paradisi offerti da una sostanza di qualità e a buon mercato. Narcopolis ruota attorno al khana di Rashid e della sua assistente e amante Dimple, affascinante hijira (eunuco) che con consumata perizia serve uomini d'affari e prostitute, poeti e viaggiatori, hindu e musulmani, gangster e filosofi, puttanieri e artisti.

Tra il 1982 e il 1984 i fumatori di Shuklaji Street passano in massa dall'oppio all'eroina, che arriva a prezzi stracciati dal Pakistan. Nonostante il loro nostalgico attaccamento verso i rituali della pyali, la pipa d'oppio garante dello sballo lento e visionario, Rashid, Dimple, Dom Ullis, Rumi e gli altri addicted di lungo corso vengono risucchiati dai flash più immediati e violenti della droga di sintesi. E quando la chimica comincia a essere disponibile sul mercato più facilmente dei pomodori, i vecchi khana chiudono le serrande lasciando una massa di disperati in balia di pusher senza scupoli e killer seriali, nei torbidi bassifondi di una città folle, rapace, irriconoscibile.

Bombay brutalità e indolenza, caos e obsolescenza, salsedine e lamiere, Bombay esperimento sociale, intonaci che si sfaldano come ossa, Bombay fetore di carne bruciata gusto di metallo acre, Bombay sferzata dal monsone, un unico fiume di fango senza elettricità, le vacche immobili nell'acqua, preda dello sconcerto per il vano affaccendarsi dei loro concittadini a due zampe. Bombay correnti di melassa da navigare sulla barca dell'O. Bombay feudalesimo e isteria. Bombay sesso e perversione. Bombay luogo desolato che merita pietà.

La parabola di Bombay in Narcopolisè una delle rappresentazioni letterariamente più avvincenti dell'Io annichilito. Nel quale risiede ancora, e fino all'ultimo, la scintilla della vita.

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Michele Lauro