Milan Kundera, 'La festa dell'insignificanza' - La recensione
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Milan Kundera, 'La festa dell'insignificanza' - La recensione

Con un'amara meditazione sull'essenza della vita il grande scrittore boemo porta al culmine la rarefazione dell'arte del romanzo. Romanzo che somiglia allo svolazzo di una piuma: incorporeo, inafferrabile, maliziosamente misterioso.

Festeggiare l'uscita di un libro che si intitola La festa dell'insignificanza è un amabile non-sense e, nel contempo, un invito a nozze per gli aficionados di Milan Kundera. L'opera di "sottrazione" cui ha sottoposto la sua arte del romanzo giunge qui al culmine di un percorso narrativo lungo quasi mezzo secolo. Hai voglia a centellinare: la festa finisce troppo presto, prima ancora di cominciare. Ma forse solo così lo scrittore ceco poteva rimanere fedele a se stesso, cioè alla propria missione di romanziere: ascoltare la voce segreta, appena percepibile, dell'"anima delle cose". E congedarsi con un'ultima risata.

L'affabulazione procede secondo lo schema classico. Zigzagare dentro e fuori la trama, dare e togliere la parola ai personaggi, lasciare campo aperto alle folgoranti digressioni (filosofia, arte, storia, musica), sì che la fiction diventi materia archetipica. Ancora una volta l'"equazione esistenziale" dà un solo e unico risultato: l'inconciliabile dualità dell'esperienza umana. Leggerezza e pesantezza, anima e corpo, uomo e donna, genitore e bambino, aggressività e mitezza, coraggio e paura, amore e amicizia, piacere e dolore, potere e impotenza, nascita e morte, memoria e oblio. Le invarianti che l'inconscio di ciascuno inconsapevolmente riconosce come fondative al suo essere nel mondo, e che Kundera ha infinitamente ricombinato nelle sue trame.

Tuttavia nella festa dell'insignificanza le "equazioni" assumono la qualità di un mormorio semantico che quasi se ne frega di incarnarsi in una storia. Kundera procede verso la rarefazione della trama come un pittore alla ricerca del colore puro, come un musicista tende l'orecchio alla frase perfetta. I suoi personaggi inattuali sono marionette assunte a giornata nel teatrino del pensiero. Le loro storie, uno svolazzo prescindibile, "superbamente privo di interesse" anche quando sul proscenio appare il Lucifero del nostro secolo. Stalin, che con gli altri "Socrati da pisciatoio" sfila nella parodia corale dell'era postbeffarda.

La festa dell'insignificanza comincia con una meditazione sull'ombelico femminile, messo sfrontatamente in mostra dalle ragazze a passeggio in una via di Parigi. Qualcuno ricorda la venerazione che il protagonista de La lentezza nutriva per il buco del culo, "porta suprema" e suprema intimità del corpo femminile? Ecco, nel nuovo frammento di discorso amoroso la nudità resta per Kundera la chiave interpretativa del nostro tempo. Qual è dunque il messaggio erotico di questo anfratto corporeo spogliato di ogni segretezza?

La sfilata di ombelichi tutti uguali è il simbolo della scabra ripetizione cui sembra condannata la nostra epoca. L'uniformità celata sotto l'illusione di individualità. Stanchezza e noia appena camuffate da sprazzi di buonumore. Così vede la modernità colui che da Kafka e Musil ricevette in pegno l'arte del romanzo. Impregnata di sensi di colpa. È un tempo in cui l'universale adagio homo homini lupus si è sublimato nell'impari lotta tra chiediscusa e vaffanculo, le categorie dello spirito rappresentative della nostra società civile.

La Parigi di Kundera è, come si legge ne Itestamenti traditi a proposito di Balzac, la "Parigi di un preciso momento, Parigi come non era stata prima e come non sarebbe stata più". Ma in fondo è anche la Parigi di sempre, con la colossale parata di re, regine, reggenti e dame di Francia, pittori, poeti e musicisti che ai Giardini del Lussemburgo si affacciano su un delizioso laghetto e, senza sosta, osservano il flusso delle generazioni passeggiare, conversare, giocare a tennis, portare a spasso i bambini, fare la fila per una mostra di Chagall.

È l'affollato palcoscenico della vita che brulica di comparse, ciò che noi tutti siamo. Dietro al Sipario, come sempre nei romanzi di Kundera, appare ogni tanto a consolarci la "meraviglia di vedere il proprio io", come in uno specchio.

Milan Kundera
La festa dell'insignificanza
Adelphi
pp. 128, 16 euro

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Michele Lauro