Mauro Covacich, 'Anomalie' - La recensione
Pippa Bacca a Istanbul, marzo 2008 © Sirio Magnabosco
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Mauro Covacich, 'Anomalie' - La recensione

L'alienazione dei 'poveri con i soldi' nei racconti che anticiparono la poetica e i temi di La sposa

La ristampa di Anomalie, primo libro di racconti di Mauro Covacich datato 1998, è l'occasione per fare esperienza di un insolito prequel narrativo. Benché risalga a vent'anni fa, spiega lo scrittore nell'introduzione, quella raccolta ha molti punti in comune con La sposa, suggello di una ricerca stilistica e introspettiva tra le più originali e brillanti del nostro tempo. Non a caso il titolo di lavoro del libro secondo classificato allo Strega era Nuove anomalie, a sottolineare la continuità con quelle trame sospese tra verità e finzione, autobiografia e cronaca, ironia e inquietudine, psicologia e azione.

Racconta l'autore che a metà degli anni Novanta la musica dei Radiohead faceva da colonna sonora a lunghi trasferimenti in auto da Pordenone a Conegliano, durante i quali maturarono idee e sensazioni poi sfociate nei racconti di Anomalie. "Il racconto è una forma espressiva molto più simile alla canzone che al romanzo", aggiunge. È un'ipotesi affascinante. Ora che i concept album sono stati affossati dal digitale, proviamo a riscoprire l'epica delle partiture multiple in un libro di racconti. Così metto nel lettore Paranoid Android, celebre e ancora attualissimo brano Radiohead formato da segmenti diversi montati assieme con la tecnica del jump cutting, pieno di cambi di ritmo e dinamiche, tempi pari e dispari, infuocate sezioni elettriche e delicate sottosezioni acustiche, citazioni e ripetizioni, vituosismi sincopati, continui passaggi armonici da maggiore a minore e viceversa. Tutti elementi stilistici che si ritrovano - mutatis mutandis - in entrambe le suite di Covacich, Anomalie e La sposa.

Leggere Covacich come un rebus da Settimana enigmistica: unisci i segmenti finché ne verrà fuori una figura. I segmenti sono una ragnatela puntiforme di deflagrazioni esistenziali. Stralci di esistenze sghembe al limite del fastidio e sequenze di sguardi che obbediscono a un codice segreto. Sono forme sgraziate che il cervello sinistro lavora ad allontanare per proteggere la sua quotidianità, mentre il destro le invita a entrare nella palude dell'inconscio. Cervello che cataloga, coscienza che censura, inconscio che squaderna. Finché le anomalie diventano una costante, un ossimoro interiore. Un androide paranoico.

Unisci i segmenti. Il mondo di Mauro Covacich ruota intorno a un'idea di destino. Come se il provincialismo, la solitudine e l'apatia fossero il punto d'arrivo ineluttabile di un karma generazionale. In Senza Piombo - il punto nevralgico delle Anomalie - la mutazione del quartetto di amici in branco avviene per caso o per noia, per un sussulto ormonale cui la matrice razzista fornisce soltanto un pretesto. Eppure matura nel preciso contesto sociale di una provincia benestante i cui adepti alla domenica ascoltano messa insieme ma sono capaci, nel fondo dell'anima, di tenere a mollo la coscienza nella candeggina.

Gli ex giovani adoratori della miscela senza piombo si sono reincarnati nei non padri (o nelle cattive madri) che frammentano i segmenti de La sposa. Dappertutto continuano a cercare un nemico, e il nemico è sempre dentro di sé. Il prequel narrativo porta allo scoperto l'anomalia primigenia di quegli adulti vittime di impulsi criptonarcisistici, condannati a una sterilità ontologica ("le voci di tutti i polli mai nati nella mia testa", cantava Thom Yorke), abituati a convogliare la nevrosi nell'alveo della pratica. La coazione a ripetere come salvezza dall'alienazione. La disciplina della fatica come antidoto all'angoscia.

Ma quanta gente c'è nella mia testa? si chiede Angela Del Fabbro nel racconto-identikit di La sposa. La domanda rimbalza dall'alter ego femminile di Mauro Covacich ai tanti protagonisti dei suoi racconti, vecchi e nuovi. "Morire non è difficile, lo è di più vivere" sembrano dire in coro riprendendo Majakovskij. Nella vacuità dei contorni, qualche volta il dolore pare assumere forme più tangibili e concrete, come per Eva, l'anomala Professoressa dell'omonimo racconto. Più spesso il disagio serpeggia come una malattia, la stessa che affliggeva Emilio Brentani e Zeno Cosini nei romanzi di Italo Svevo: la malattia della volontà. Una malattia molto borghese, ancora oggi incurabile.

Covacich è un raccoglitore di indizi. Come spiega ancora nell'introduzione, più che la fantasia sono la cronaca e la vita reale a fornire ispirazione per i racconti. A volte i film, il telegiornale. Lo scrittore si sporca le mani con la realtà per poi rimpastarla con le parole. Ma più indizi fanno una prova: la linea di frattura individuata nelle Anomalie dimostra che - nella nostra società - la vita non si svolge in linea retta di propositi e realizzazioni (o fallimenti). Più spesso alle intenzioni seguono azioni opposte e imprevedibili. E poi una trama di alibi con i quali si cerca l'autogiustificazione, aspettando che il fluire del tempo sfumi i contorni.

Gli inetti di Mauro Covacich sono rappresentativi della precarietà di questo presente ma anche, in senso più ampio, dei paradossi della vita di cui la letteratura si nutre. Forse perché entrambe, vita e letteratura, sono anomalie nell'oscura immensità dell'universo.

Mauro Covacich
Anomalie
Bompiani
183 pp, 12 euro

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Michele Lauro