Massimo Onofri, 'Passaggio in Sicilia' - La recensione
© Edward Fielding/Arcangel
Lifestyle

Massimo Onofri, 'Passaggio in Sicilia' - La recensione

Un grand tour della nostalgia, del cuore e della memoria: travolgente reportage all'incrocio fra natura, letteratura e psicanalisi

Si esce da questo libro eccitati e prostrati come dopo un sogno affollato di mille comparse. Tutte, una a una, ti sembra di averle spolpate della loro misteriosa essenza, in quel breve spazio incosciente. Ma quante vite ha già vissuto Massimo Onofri, mi è venuto da pensare, per aver letto incontrato veduto viaggiato annusato vagheggiato scritto insegnato amato sofferto goduto così tanto? Il suo Passaggio in Sicilia si annuncia, dalla Sardegna dove proviene in compagnia di alcune giovani dame, con il battito d'ali di una farfalla che torna al bozzolo. Da Palermo a Messina in senso antiorario, un periplo della memoria nei panni di un Virgilio innamorato dell'arte, della letteratura, delle donne e della cassata come aspetti di un unico grande tutto.

La Sicilia di Onofri è, come lo fu la Sardegna per il siciliano Vittorini, imago archetipica dell'infanzia. Ma proprio nel suo infuocato ventre l'autore incontra i germi dell'infezione che la corrode. L'utopia di luce che l'acceca, la bellezza all'origine della sua dannazione. Così Sicilia e letteratura appaiono in queste pagine fatalmente avvinghiate come eros e thanatos, isole-sistema in un diapason che risuona di archetipi in perenne migrazione. Ritrosia e ostentazione. Fisica e metafisica. Ragione sull'orlo della non ragione. Antropologia che si fa natura, una natura così dolce e struggente che si fa a sua volta "archeologia del sentimento", cioè nostalgia per ciò che si è perduto o spesso per qualcosa che non si è ancora perduto.

Da questo guazzabuglio di arte, natura e vita la melodia dello scrittore viterbese si eleva con raffinata leggerezza. Mi è sempre parsa ridicola un'etichetta come critico militante, eppure l'aggettivo dall'eco vagamente pugnace si traduce qui in gioiosa alternativa ai generi letterari codificati. Il saggista, il romanziere, l'epigrammista e il viaggiatore si danno appuntamento sulla soglia che unisce l'isola narrata, l'isola immaginata e l'isola vissuta. Itinerario reale e itinerario ideale si fondono nelle corrispondenze fra l'aedo in cammino e gli amici che gli aprono le porte di casa: centinaia di personaggi e personagge, letterari e in carne ed ossa in un magico continuum, ciascuno dei quali riflette come un prisma il suo tassello di sicilianità nel gran corpo della memoria universale.

Scrittori, poeti, fotografi, artisti rappresentano infatti una sorta di "doppio" di ogni luogo. Un'affollatissima isolitudine, neologismo creato da Gesualdo Bufalino per indicare il peccato originale dei siciliani, la colpa da espiare. Onofri infrange l'ossimoro e moltiplica gli incroci su un tessuto barocco di gelosa libertà narrativa e civile. Viaggiare e non partire, parafrasando il titolo di un bel libro di Andrea Bocconi di qualche anno fa, è per il lettore sognare oltre l'orizzonte il pirandellismo agrigentino e la sicilianità empedoclea, l'esuberante Vucciria di Guttuso e l'enigma di Antonello a Cefalù, l'Oriente attenuato nella Siracusa di Borgese, l'onnipresenza di Sciascia, la poetica Marsala di Nino de Vita, il Gattopardo di Tomasi e l'antiGattopardo di Consolo...

Ma accanto al pantheon degli illustrissimi, la sicilianità più pura s'infiamma al Passaggio di una lunga scia di sublimi interpreti, pur quasi mai rappresentati nei libri di scuola. La geografia e la storia dell'isola bussano ai borghi dell'entroterra, fuori dai pregiudizi della cronaca e dagli esotismi del luogo comune. E mentre il viaggio scende alle radici del sé, la letteratura diviene un paesaggio onirico, enigmatico ma improvvisamente e inspiegabilmente quotidiano come quello di Giuseppe Modica da Mazara del Vallo, pittore che fece della luce mediterranea una categoria esistenziale. La melodia del vento si accorda alla "malinconica armonia della solitudine", sublime definizione del poeta Giuseppe Piaggia da Milazzo, alle metafisiche del mare e della lontananza, senza trascurare l'estetica dell'orrore di certa modernità, con le sue oscenità più o meno invisibili.

La narrazione esplode a Catania nel travolgente racconto di una insospettabile, parossistica repubblica del sesso sotto il nume tutelare di Micio Tempio, poeta dialettale autore di capolavori eloquenti come Lu cazzu grossu e La futtuta all'inglisa. E con un'acrobazia prodigiosa l'Arte della gioia trasmigra dallo sfacelo dei bordelli all'autentica città delle donne inaugurata dalla Modesta di Goliarda Sapienza, il cui processo di riscatto ed emancipazione costituì un "atto di sfida permanente al sistema patriarcale dei pregiudizi sociali, sessuali, religiosi, poco importa se rappresentato da fascisti e mafiosi". E poi un crescendo di storie e controstorie di donne catanesi dalla spiccata sensualità, solletico a una personale vanità cui l'autore allude con proverbiale autoironia (e vanto).

Sarà che lo stilnovismo patologico è un morbo contagioso, sarà che la Sicilia stessa è come una malattia. Dopo il Passaggio in Sicilia continuo a fare sogni isolani. O forse sono solo propositi e pensieri, come quello di intensificare ogni istante della vita, "renderlo concreto al quadrato" disse Brancati che di nome faceva appunto Vitaliano. Mi appaiono il sorriso, la cordialità, l'allegria, la mitezza di quei "siciliani che hanno fatto della dolcezza il punto d'onore della vita": uno fu il mentore di Massimo Onofri, lo zio Nicola, colui che lo iniziò ai segreti della sicilianità. Insomma settembre è un mese bellissimo e il Mediterraneo intiepidito sa di rosa e cannoli. Certi giorni ci penso, di partire senza pensarci.

Per approfondire

Passaggio in Sardegna - La recensione
Benedetti Toscani - La recensione

Massimo Onofri
Passaggio in Sicilia
Giunti
400 pp., 18 euro

I più letti

avatar-icon

Michele Lauro