Jonathan Gottschall, il professore sul ring
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Jonathan Gottschall, un professore sul ring

Perché gli uomini combattono? E perché a noi piace guardarli?

Jonathan Gottschall era un tranquillo professore di letteratura inglese al Washington and Jefferson College dello stato della Pennsylvania il giorno in cui ha deciso di entrare, per la prima volta, in una palestra di Arti Marziali Miste (le cosiddette MMA).

Lo è ancora, ma oggi sarebbe teoricamente in grado di uccidervi a mani nude, prima che abbiate il tempo di realizzare che mai avreste pensato di morire per mano di un tranquillo professore di inglese della Pennsylvania.

Di Gottschall l’anno scorso era già apparso in Italia L’istinto di narrare (Bollati Boringhieri), un saggio godibilissimo -forse il più avvincente dell’intera stagione- in cui l’autore appoggiandosi a neuroscienze e antropologia raccontava di come siano state le storie a decidere della sorte evolutiva della nostra specie.

Nel suo ultimo saggio, Il professore sul ring (sempre Bollati Boringhieri, traduzione di Giuliana Olivero), l’approccio è lo stesso: divulgazione e intrattenimento, con notizie scientifiche e studi rigorosi che si mescolano a spassosi quadretti familiari, storici duelli, e vere e proprie scene d’azione.

Partendo dalla sua esperienza di fighter dilettante, Jonathan  Gottschall intraprende un viaggio nella scienza, nella storia e nella letteratura della violenza agonistica, portandoci alla scoperta dei nostri più bassi istinti.

Fight club
Tutto comincia un giorno di avvincente tristezza, nel solito cubicolo che il nostro professore occupa all’interno del dipartimento di inglese del Washington and Jefferson College. La giornata si trascina stancamente, così come la sua carriera: adjunct professor a 16.000 dollari l’anno, poche prospettive, nessuna particolarmente eccitante.

Se avete letto, o visto, Fight club (o se più genericamente vi siete mai trovati intrappolati in un periodo di grande frustrazione) sapete che questo è il momento in cui nella nostra mente si affaccia la violenza.

Potrebbe scaricarla sulla tastiera del computer che si trova di fronte, ma lo sguardo gli cade sull’ingresso della palestra di MMA dall’altra parte della strada. Perché no, si dice, ho sempre desiderato fare qualcosa di coraggioso. Se va bene, scrivo un libro sul lato più oscuro degli uomini. Se va male, prendo un sacco di botte, riporto un danno cerebrale permanente e magari perdo il lavoro. Sarebbe comunque un cambiamento.

Abbracciare il lato oscuro
Dopo quindici mesi nella gabbia (e un sacco di botte), le conclusioni che ci presenta sono alquanto diverse dalle premesse della sua ricerca. Mescolando esperienza personale e ricerche scientifiche, Gottschall ci spiega che il combattimento agonistico ritualizzato non è malvagio in sé, né l’espressione di quel lato oscuro che gli sarebbe piaciuto indagare.

È invece il modo migliore che gli uomini hanno trovato per tenerlo a bada questo lato oscuro, e soprattutto per limitare i danni. È grazie ai combattimenti rituali, infatti, che uomini e animali elaborano conflitti e gerarchie riducendo al minimo il caos sociale. Che siano duelli a colpi di corna, pistolettate, colpi di jujitsu o articoli accademici, il combattimento rituale è parte integrante della costituzione di ogni tipo di società, dalle più semplici alle più evolute.

Le origini delle MMA
A questo proposito, ripercorrere brevemente la storia di una disciplina estrema come quella delle MMA è molto interessante perché permette di vedere in un breve lasso di tempo come nasce un combattimento ritualizzato. Il primo incontro della storia delle MMA risale al novembre del 1993. Sul ring salirono un karateka e un lottatore di sumo. Non c’erano categorie di peso e non c’erano limiti di tempo.

C’era un arbitro (iniziativa che non tutti avevano apprezzato) e c’erano pochissime regole.  Durò poco più di quindici secondi e fu un massacro. Nel tempo gli incontri di Arti Marziali Miste si sono evoluti per tecnica e sicurezza. Le regole sono diventate più stringenti (anche se a un occhio esterno questo non si direbbe), le strategie di combattimento si sono affinate, è aumentata la consapevolezza dei rischi negli atleti e nel pubblico.

La scienza del combattimento
Oggi le MMA sono uno sport  a tutti gli effetti , durissimo ma canonizzato, ben lontano dalle esplosioni di violenza casuale degli esordi. Non si può dire però che quei primi folli incontri siano stati del tutto inutili. Le Arti Marziali Miste hanno dimostrato una volta per sempre che nessun arte marziale presa singolarmente è superiore a un rimescolamento di varie arti marziali.

E non è un risultato da poco. Nel corso del tempo, scrive Gottschall,  «Le arti marziali si sono trasformate in fedi del combattimento -complete di miti della creazione, violenti settarismi e fede incrollabile in inquietanti poteri da Jedi- anziché in scienze del combattimento». La scienza presuppone di interrogarsi con scetticismo, la religione di accettare le risposte sulla fede.

Ecco perché «nelle arti marziali non mettere mai in discussione un maestro, o una regola, o una tecnica, o una tradizione -indipendentemente da quanto rovinosa o illogica possa essere- è celebrato come una virtù». Al contrario, «le MMA funzionano perché sono una scienza e non una religione (…) in altri termini, si può dire che le MMA abbiano portato l’illuminismo nelle arti marziali».

L'uomo nuovo
Sotto forma di scienza, religione, sport o gioco, il combattimento ritualizzato ha sempre fatto parte della storia della specie umana, in particolar modo della storia dei suoi esponenti maschili.

Forza e coraggio, le qualità più importanti di un buon combattente, sono state parte integrante della definizione di virilità da sempre, e restano fondamentali anche oggi, in un epoca in cui certo non dobbiamo cacciare mammut o difenderci dalle tigri dai denti a sciabola per sopravvivere.

È giusto quindi ridimensionare quei tratti che appaiono tanto poco utili nella civilissima società in cui ci troviamo a vivere? Ricollocare l’aggressività del maschio è una delle priorità sociali del tempo in cui viviamo, ma sarebbe evolutivamente sciocco disperdere una risorsa propulsiva tanto importante per la nostra specie.

La vera sfida, piuttosto, è quella di mettersi in gioco, uomini e donne, e formulare assieme una definizione di virilità in linea con i tempi. Perché uomini si diventa. 

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Giulio Passerini