"Innamorarsi a Notting Hill" di Ali McNamara, l'incipit del libro in anteprima
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"Innamorarsi a Notting Hill" di Ali McNamara, l'incipit del libro in anteprima

Il 9 maggio uscirà in Italia per Newton Compton il bestseller britannico di una scrittrice per caso. Ve ne presentiamo un estratto

Il 9 maggio uscirà in Italia il romanzo d'esordio della britannica Ali McNamara, una scrittrice "per caso" di cui Newton Compton ha già pubblicato nel 2012 la sua opera seconda Colazione da Darcy.

Ora la stessa casa editrice torna alle origini con Innamorarsi a Notting Hill (384 pagg., 9,90 euro), bestseller in Gran Bretagna dalla genesi un po' particolare. Ali McNamara ha infatti iniziato a scrivere per gioco postando alcuni pensieri sul sito di Ronan Keating, ex membro della band Boyzone, finché le sue considerazioni non si sono trasformate in un racconto vero e proprio, che ha attirato migliaia di contatti giornalieri sulla pagina del cantante. Quando si è accorta di questa popolarità, Ali ha messo la sua scrittura a disposizione dell'associazione benefica di Keating, vendendo le sue storie all'asta per poi devolvere il ricavato alla lotta contro il cancro. Dopo questo strano inizio, ha deciso di realizzare il suo titolo d'esordio, Innamorarsi a Notting Hill, appunto. E grazie al passaparola è stato un successo.

Il libro racconta le vicende trasognate e comiche di Scarlett O'Brien, una ragazza che desidera una vita da film: il cinema, e in particolare le sue amate commedie romantiche, sono molto più eccitanti della banale realtà di tutti i giorni accanto a David, il suo noioso fidanzato. Ossessionata da Hugh Grant, Brad Pitt e Johnny Depp, quando le si presenta l’occasione di trascorrere un mese in una villa di Notting Hill, scenario di una delle sue pellicole preferite, non ci pensa due volte. Ma a Londra il confine tra il cinema e la vita si fa ancora più labile..

Di Innamorarsi a Notting Hill vi presentiamo qui un estratto in anteprima.
Ecco l'incipit.

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Innamorarsi a Notting Hill
di Ali McNamara

Mentre emergevo dalle viscere calde e affollate della metropolitana di Londra non mi sentivo affatto come Julia Roberts. Non c'erano paparazzi pronti a immortalare ogni mio gesto, a parte una coppia di giapponesi che però era impegnata a fotografare un taxi parcheggiato. Probabilmente però non le assomigliavo nemmeno, intenta com’ero a trascinare il mio vecchio trolley blu sul marciapiede ammirando estasiata il quartiere di Notting Hill, che ero convinta di conoscere bene.
Di solito mi dicevano che ricordavo un’altra attrice famosa, ma era una star hollywoodiana d’altri tempi. In effetti, con i miei capelli neri e gli occhi verdi, forse avevo qualcosa in comune con Vivien Leigh di Via col vento. E dato che i miei genitori avevano voluto darmi il nome originale di Rossella O’Hara, Scarlett, il paragone veniva ancor più spontaneo.
Non ha proprio niente a che vedere con il film, pensai mentre risalivo Portobello Road, su cui si affacciavano negozi di antiquariato e botteghe di artigiani. Dov’era il mercato brulicante di attività che Hugh Grant aveva attraversato, dov’erano i venditori stravaganti con quei loro prodotti bizzarri? C’erano delle bancarelle, ma non mi sembrava che qualche banco di frutta e un tipo che vendeva orologi quasi sicuramente falsi corrispondessero alla versione cinematografica.
Ho sempre amato i film con Hugh Grant. Non saprei dire perché, visto che lui non mi piace più di tanto, ma adoro vederlo sullo schermo. Il periodo di Quattro matrimoni eun funerale, Notting Hill e Il diario di Bridget Jones è stato uno dei più della mia vita. I suoi film hanno un che di rasserenante: sai già che a nessuno esploderà la testa entro i primi tre minuti, nessuno verrà torturato, e il peggio che può succedere è vedere un gallese allampanato che mangia maionese in mutande.
«Adesso sono sicura che devo svoltare nei pressi di un bar...». Diedi un’occhiata al foglietto che avevo in mano. «Devo concentrarmi sulla ricerca della casa, prima. Poi ci sarà tempo per i paragoni con il film...».
Mi guardai intorno, in cerca di un cartello con il nome della via.
«Oh, ma quella non è la casa con la porta blu in cui viveva Hugh Grant nella commedia? No, Scarlett, per una volta pensa alla tua vita, smettila di fantasticare. Sei qui per dimostrare qualcosa, non per confermare che hanno ragione loro!».
Lasciai Portobello Road e proseguii su una traversa. E quasi subito mi si presentò un’altra distrazione, stavolta però del tutto giustificabile. Sarebbe stato assurdo non fermarsi a dare almeno una rapida occhiata. Perché davanti ai miei occhi era apparsa la libreria.
Avete presente la libreria di viaggio? Quella dove Hugh e Julia si incontrano per la prima volta in Notting Hill? Ebbi un attimo di esitazione sulla soglia, e mi ripetei che dovevo cercare la casa, ma era quella libreria... pochi minuti in più o in meno non avrebbero cambiato nulla.

Mi affrettai a entrare con la valigia e cercai di non mostrarmi troppo euforica quando mi resi conto che il negozio era identico al film.
Mentre mi aggiravo tra gli scaffali, fingevo di essere davvero interessata a comprare qualcosa, sperando di non avere l’aria di una turista entrata solo nella speranza di trovare Hugh Grant dietro il bancone.
«Il Nepal è un posto magnifico», disse una voce accanto a me. Non mi ero nemmeno accorta che ci fosse qualcuno, tanto ero presa dal trovarmi praticamente dentro uno dei miei film preferiti. «C’è mai stata?».
Guardai il libro sulle montagne himalayane che avevo in mano.
«Cos... ah, no, mai. Lei, invece?», chiesi, voltandomi verso un giovanotto intento a rimettere a posto un volume.
«Sì, anche se ormai è passato qualche anno... Se pensa di andarci, le assicuro che non se ne pentirà».
«Grazie, lo terrò presente. Ehm... lavora qui?», chiesi fiduciosa, pensando di aver già avuto un colpo di fortuna. Era troppo bello per essere vero: mi stavano abbordando in una libreria di viaggio a Notting Hill. Forse allora ero un po’ Julia Roberts, dopotutto.
«No, come le viene in mente?».
Osservandolo meglio, mi resi conto che indossava un lungo impermeabile nero e aveva in mano una valigetta e una borsa della spesa.
«Oh, mi scusi, no, è evidente», dissi, odiandomi per essermi fatta trascinare in una situazione da film per l’ennesima volta. «È stato un errore davvero sciocco».
«Già. Infatti», rispose, guardandomi dall’alto in basso, con aria sprezzante.
Poi, senza aggiungere altro, si voltò rapido e uscì dal negozio.
Continuai a guardare nella sua direzione per un po’, mentre il suono del campanello sopra la porta mi riecheggiava ancora nelle orecchie.
«Notevole!», bofonchiai afferrando la maniglia della valigia. «Spero che non siano tutti così simpatici, da queste parti. Adesso però devo proprio trovare quella casa. Dov’è finito l’indirizzo?».
Fuori, mi fermai sul marciapiede a frugare nelle tasche, poi nella borsa e poi di nuovo nelle tasche, sempre più disperata, senza riuscire a trovare il biglietto su cui era annotato l’indirizzo. Nel panico, mi girai per rientrare nella libreria e controllare se mi fosse caduto lì.
Ero così in preda all’agitazione che non mi accorsi dell’uomo che si avvicinava di buon passo. Quando avanzai, tagliandogli la strada, il cane che aveva in braccio abbaiò, facendomi sobbalzare. La sfortuna volle che per lo spavento mi bloccassi, e per evitare di finirmi addosso anche l’uomo dovette fermarsi di colpo, ma riuscì a non perdere l’equilibrio e a non far cadere i sacchetti che aveva in mano. Ma non poté evitare di rovesciarmi addosso un bel bicchiere di succo d’arancia fresco, che finì proprio sulla mia camicetta bianca.
«Oh, mia cara, sono davvero mortificato», esclamò, poggiando subito a terra il suo Shih-tzu e i sacchetti.
«No, è stata colpa mia... non dovevo passarle davanti così», dissi cercando di sollevare con due dita il tessuto fradicio della camicia. «Ero sovrappensiero».
Ma lui non diede segno di avermi sentita; anzi, con un certo sgomento notai che mi stava fissando il petto. «Presto, si tolga la giacca prima che il succo rovini anche quella».

Ebbi un attimo di esitazione, e mi chiesi in che razza di persona mi fossi imbattuta.
Sembrava che non riuscisse a staccarmi gli occhi di dosso, e che farmi spogliare al più presto fosse per lui una priorità assoluta. Lo osservai di nuovo. Indossava jeans neri, giacca di pelle nera e occhiali scuri. Come tocco finale aveva aggiunto un fazzoletto da collo rosa e un basco nero. E i sacchetti che aveva poggiato con cura a terra accanto al cane avevano tutti la scritta "Harvey Nichols".
Mi calmai.
Aveva ragione: non volevo che il succo d’arancia si spandesse anche sulla giacca scamosciata, quindi seguii il suo consiglio e me la sfilai con attenzione, scoprendo del tutto la terribile macchia.
«Deve mettere in ammollo la camicia al più presto», mi incalzò. «Il succo d’arancia è un disastro, se si asciuga. Corra subito a casa e strofini a più non posso, cara. Solo allora potrò dormire sonni tranquilli, sapendo che io e Delilah non abbiamo rovinato per sempre questo capo favoloso!».
I miei timori iniziali cominciavano a svanire. Sorrisi. «Non si preoccupi, sono sicura che la macchia andrà via».
Frugò nel suo borsello ed estrasse un biglietto da visita. «Questo è il mio numero di telefono. Se non riesce a toglierla, mi chiami e le comprerò una camicetta nuova».
«Non deve disturbarsi, davvero», gli dissi cercando di sottrarmi.
«Mia cara, non voglio sentire ragioni! Ecco, lo prenda, insisto».
Obbedii. C’era scritto:

MARY MARY QUITE CONTRARY
ABBIGLIAMENTO E DESIGN DA URLO OSCAR ST JAMES – PROPRIETARIO

© Newton Compton Editori

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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