Giuliano da Empoli, "La prova del Potere" di Matteo Renzi. E di una generazione
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Giuliano da Empoli, "La prova del Potere" di Matteo Renzi. E di una generazione

Il populismo iperpolitico (non antipolitico) indispensabile per avere successo. Il nuovo libro dell'autore di "Un grande futuro dietro di noi"

Diciannove anni fa, Giuliano da Empoli - all’epoca era un giovane laureando in giurisprudenza - scrisse un felice saggio intitolato Un grande futuro dietro di noi (Marsilio, ormai introvabile).

La pubblicazione ebbe parecchia eco. Colpiva che un ragazzo, negli anni Novanta, dicesse cose feroci sulle rendite di potere da scardinare; sui sindacati che erano, sosteneva da Empoli, nient’altro che organizzazioni per la tutela dei garantiti; sull’inutilità delle proteste studentesche, ormai svuotate di senso.

Quasi vent’anni dopo, da Empoli, che nel frattempo è stato assessore alla Cultura con Matteo Renzi a Firenze nonché suo architetto e ideologo fin dai tempi delle primarie 2012 e oggi è suo consigliere politico, torna in libreria con La prova del potere. Una nuova generazione alla guida di un vecchissimo Paese (Mondadori).

Un agile pamphlet scritto da un membro di quella generazione arrivata oggi alla guida dell’Italia: i trenta-quarantenni alla Matteo Renzi, più feroci di quelli alla Enrico Letta, che sono i “girondini della rivoluzione generazionale. La componente più moderata, quelli che hanno aspettato con pazienza che arrivasse il loro turno, quelli che in fondo la rivoluzione non l’hanno mai voluta perché sapevano che prima o poi la chiamata dall’alto sarebbe arrivata”.


da Empoli, La Prova del potere, Mondadori

Oggi, comunque, una nuova generazione si affaccia sulla scena.

“Di tutte è la più improbabile, quella che nessuno si aspettava di veder spuntare tra gli ori dei palazzi e i riflettori degli studi televisivi. Li chiamavano ‘bamboccioni’, i nati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta. Sembravano il vaso di coccio tra due generazioni di ferro. Quella lirica, sicura di sé, dei figli del Sessantotto e del Settantasette. E quella digitale, altrettanto sicura di sé, degli iPhone e dei social network. Da una parte i nativi dell’ideologia, dall’altra quelli della tecnologia”.

In mezzo a queste due generazioni, c’è la generazione X, per usare una celebre espressione dello scrittore canadese Douglas Coupland: incerta su tutto, la classe d’età meno omogenea di tutta la storia, “la più sciancata”, al punto che “nessuno era mai riuscito a definirla in positivo.

“Un’armata Brancaleone di disadattati, insicuri che provavano a costruirsi una scialuppa con due tavole di cartone e un rotolo di scotch. Il fai da te come unica prospettiva esistenziale”.

Niente miti fondatori in comune, niente gerarchie famigliari da strapazzare come i padri che hanno fatto il Sessantotto e il Settantasette.
A questa generazione appartiene Renzi, cui da Empoli è legato per età e consanguineità politica.

Un leader perfettamente aderente ai canoni di inattualità e trasgressione che caratterizzano questa generazione e il cui populismo - che non è antipolitico bensì iperpolitico, dice lo scrittore - è necessario per avere successo.
Se i padri potevano contare sull’ideologia, i trenta-quarantenni ne sono sempre stati sprovvisti sicché sono dovuti - e qui sta l’inattualità - riandare indietro nel tempo, ripescando memorie storiche e politiche di altre epoche. Più che ai padri, insomma, questa generazione ha rimesso in pratica gli insegnamenti dei nonni.

Il risultato è una perenne dissonanza rispetto ai tempi che corrono. E la vena sovversiva - altra componente - in dotazione alla generazione Renzi è diversa dalla “trasgressione obbligatoria dei sessantottini”; è qualcosa di più simile a una mutazione genetica, a un sapersi adattare.

Renzi insomma è il portavoce giusto per questa classe d’età:

“Se dappertutto gli elettori hanno la sensazione di aver perduto il controllo sul proprio destino, a causa di forze potentissime - la globalizzazione, le nuove tecnologie - che minacciano il loro benessere senza che le classi dirigenti muovano un dito per aiutarli, non si può far finta di nulla”.

Il presidente del Consiglio, dice da Empoli, è per ora l’unico leader europeo che “sia riuscito a mettere l’energia del populismo al servizio di un’agenda di governo riformista”.

Un governo fatto di giovani professionisti della politica per restaurare il primato del volontarismo sulla tecnica montiana, che decide di stroncare la mitologia della società civile nata negli anni Novanta sull’onda della magistratura che avrebbe dovuto mondare la politica da tutti i suoi mali. Renzi, dunque, è più politico di quel che lascerebbero pensare i suoi tweet e le sue slide, è uno che ha una cultura vecchio stampo, si è formato nelle assemblee di partito e nei comizi. Ed è la conseguenza di un cambio di prospettiva, sostiene da Empoli, in cui il principio di anzianità si è ribaltato.

Oggi, “l’esperienza è ricompensata meno dell’innovazione, la capacità di continuare a fare ciò che si è sempre fatto meno di quella di reinventarsi, lasciandosi alle spalle la vecchia identità - pubblica, professionale o personale - come la pelle accartocciata di un serpente a primavera. È una tendenza di fondo, che ha cambiato il volto delle società più avanzate nel corso dell’ultimo quarto di secolo, facendo saltare le antiche gerarchie strutturate dall’esperienza e favorendo l’ascesa di classi dirigenti più giovani, che fondano il proprio potere sulla capacità di rompere gli schemi, più che di conformarsi allo statu quo”.

Giuliano da Empoli
La prova del potere. Una nuova generazione alla guida di un vecchissimo Paese,
Mondadori, 2015

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David Allegranti