Francesco Pecoraro, 'La vita in tempo di pace'
illustrazione di Francesco Pecoraro
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Francesco Pecoraro, 'La vita in tempo di pace'

Ingegnere muore di luna piena: il "curioso caso" di Ivo Brandani, antieroe contemporaneo perduto tra la logica della ragione e la follia del desiderio

Echi di Robert Musil, George Orwell e Italo Svevo si rincorrono nel nuovo romanzo di Francesco Pecoraro. Poderoso, esagerato di pagine, riflessioni, emozioni. Un romanzo corrotto e corrosivo, travolgente e travolto da folate di bellezza e di disprezzo cui aderire senza condizioni. È il manifesto aggiornato del decadentismo europeo nell'era intermedia della degradazione. E l'esegesi degli ultimi sessant'anni di storia italiana: La vita in tempo di pace .

Pace. Un concetto-stato d'animo che s'intorbida fin dalle prime pagine, anzi fin dall'esergo affidato all'immortale sentenza di Thelonius Monk: "È sempre notte, altrimenti non avremmo bisogno della luce". Pecoraro abbatte ogni argine sulla strada della letteratura, travolge gli steccati dei generi con una piena rovinosa di parole-pensieri che si depositano sulle rive dei nostri ricordi e della nostra immaginazione. Come un limo che un attimo fa profumava di Marsiglia e ora sa di merda, attaccato dai batteri simbionti che appaiono i veri custodi dello scorrere umano su questa terra.

La struttura del romanzo è ardimentosa ma l'autore, attingendo al canone del romanzo sperimentale non meno che a quello classico, lima i tre livelli che Walter Benjamin considerava essenziali per la scrittura: quello musicale della composizione, quello architettonico della sua costruzione e quello tessile della trama. I due nuclei chiave, quello cognitivo costituito dall'incontro-scontro fra letteratura, scienza e filosofia (parenti uniti molto alla lontana da una comune matrice genetica), e quello affettivo (alimentato dallo scacco per la mancata fusione tra le rappresentazioni del mondo e per l'inconoscibilità/ostilità del genere umano) sono qui in magnifica, biunivoca corrispondenza.

Nevrotico e insicuro, mediocre e ossessivo, il protagonista Ivo Brandani è un "vecchio maschio silente" ormai settantenne, che in un futuro appena prossimo si trova imprigionato per caso nell'aeroporto egiziano di Sharm el Sheik. Lo spazio neutro della sala d'aspetto è l'occasione per una pausa esistenziale: quali sono le prove di un'esistenza? Chi mi dice che ho veramente vissuto? Cosa ha resistito alla cancellazione del tempo? Alternando la terza persona alla vorticosa soggettiva dello stream of consciousness, Pecoraro ricostruisce il ritmo sincopato di una vita in tanti quadri che scorrono sullo sfondo della vicenda nazionale del dopoguerra: il tempo di pace.

Come l'Emilio Brentani di Senilità (non sfugga l'assonanza con il personaggio del capolavoro di Italo Svevo), Ivo Brandani è lo spirito gregario, il non-eroe, non-coraggioso, non-dominante fra i maschi alfa. L'ipersensibile inetto e vile con le pulsioni mostruose del maschio che sa di vivere in cattività fin dalla nascita, con "quello schifo" che si ritrova tra le gambe. Niente è sottinteso nel fiotto d'inconscio affidato alla memoria involontaria. Ivo soffre il tedium vitae e palpita di testosterone, soccombe al fascino della filosofia ma cede alle lusinghe della scienza, blandisce le femmine e il successo ma si abbandona alla pigrizia e all'egoismo, alla panacea chimica del Tavor, all'incapacità di scegliere.

Sullo sfondo dei quadri esistenziali scorre il loop storico di una società fondata sul miracolo economico e sulla perenne illusione del cambiamento. La disillusione comincia negli anni Sessanta, l'epoca contestataria in cui il capitalismo produsse il suo antidoto per forgiare una nuova classe di consumatori, e tocca il culmine con i piccolo-borghesi rivoluzionari vittime del potere e dell'eros tanto quanto i potenti che aveva creduto di combattere. Che spettacolo miserabile, la guerra silenziosa di tutti contro tutti, l'esistenza borghese consegnata al dio consumo fino all'apocalisse del fake, promessa agghiacciante di una natura estinta e sostituita con tasselli museali di natura. Quando ti senti lucido, non fidarti: la barriera corallina tra scienza e fantascienza è ormai crollata sotto le ruspe del progresso globale.

Al cospetto di tanto vuoto, Pecoraro fotografa attimi di straordinaria, assoluta intensità. Sono paesaggi e atmosfere, sono il cuore che soprassalta come se tutto stesse accadendo adesso. L'archetipo mediterraneo classico, l'Isola greca e per estensione il Senso del mare, abbinato alla classica istituzione mentale della giovinezza: l'Estate. L'archetipo leonardiano della macchina perfetta: gli aerei che volano in virtù della forma che è stata loro conferita ma solo se la velocità non scende sotto una certa soglia. Gli aerei sono belli perché volano. Anzi no, volano perché sono belli. L'illuminazione del valore estetico dell'oggetto tecnologico, l'abbandono della mistificazione umanistica e metafisica in favore dell'homo faber lascia Ivo per sempre scisso, vittima di uno sdoppiamento percettivo: da un lato l'armonia della matematica, dall'altro il caos del mondo reale, illusoriamente artigliato con l'arma della razionalità.

Ma proprio un ponte ora soggioga e mortifica la valle dove fu costruita la Città di Dio, culla della nostra civiltà, la Roma del dopoguerra in cui il Bernini e i palazzinari facevano orge con i gruppi di turisti imboniti dalle guide. La città divina e speciale in cui c'erano il cinema e gli americani e i bosari neri, la capitale inafferrabile e informe preda del darwinismo sociale, "refrattaria a ogni idea di ordine, di giusto, di ben fatto". Come uno scroscio di lacrime, la Natura sofferente l'annegò un giorno sotto una coltre di fango, biblico castigo di cui stiamo facendo rapidamente esperienza. "Per ogni cosa che costruiamo è necessario che se ne distrugga un'altra..."

Oggetti gesti pensieri sensazioni, dimenticati nel retrobottega della memoria. Ogni frammento, nel delirio accumulativo di Brandani, invece di comporsi con gli altri pezzi a formare un quadro leggibile "ne richiama di più profondi incongrui misteriosi". È l'energia segreta di questo romanzo, il suo Motore Immobile. Peccato non averlo letto su una spiaggia, l'unico ambiente che paia esistere "avendo come unico scopo la felicità dei suoi abitanti".

Francesco Pecoraro
La vita in tempo di pace
Ponte alle Grazie
pp. 512, 16,80 euro

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Michele Lauro