Elena Varvello, 'La vita felice' - La recensione
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Elena Varvello, 'La vita felice' - La recensione

La perdita dell'innocenza in un diario intimo e spietato, con una piccola lezione di speranza e umanità

Un meccanismo diabolico presiede al nuovo romanzo di Elena Varvello. La vita felice ha la struttura di un thriller in cui il colpevole si intuisce fin dalle prime righe. Il resto del tempo il lettore lo passa ad aspettare la colpa, a desiderare la condanna e a lenire l'angoscia. Ma il male avvinghia l'umida provincia con una fitta trama di verità labili e grigie come i suoi silenzi gonfi di pioggia. Avevo sedici anni, dice la voce narrante ripercorrendo la sua iniziazione all'età adulta, quell'estate in cui mio padre portò nei boschi una ragazza. Quell'estate in cui ciascuno di noi tenne per sé i suoi segreti.

Così ha inizio il male, quasi sottovoce, quando un padre di famiglia perde il lavoro e nello specchio comincia a vedere un altro sé. In una provincia in cui la crisi ha picchiato forte dilagando ben oltre il versante economico, la chiusura dello storico cotonificio ha spopolato i dintorni, lasciando i superstiti come fantasmi senza identità. Fu allora che Ettore Furenti (suona bene il toponimo fra allitterazione e onomatopea) cominciò a fissare in modo strano moglie e figlio, "come se fossimo sbagliati". La routine si inceppa, e più famiglia lo protegge più il senso di colpa diventa ossessione. L'angoscia follia. La paura terrore.

Ma il peggio, come diceva Shakespeare, resta indietro. E dietro le quinte la voce della scrittrice lo suggerisce con quel timbro d'inconfondibile nettezza che aveva La luce perfetta del giorno, il precedente romanzo anch'esso ambientato in una comunità piccolo-borghese ai margini di un bosco. L'interiorità dei personaggi si disvela a poco a poco attraverso relazioni complicate dalla disgregazione dei codici affettivi. Lenta ma inesorabile è l'acquisizione di una consapevolezza: i rapporti di parentela possono d'un tratto diventare irriconoscibili e spaventosi.

Impersonando un uomo adulto che torna ragazzo per raccontare dal di dentro la sua verità, Varvello tesse la tela di interni familiari dove il passato germina morbosi non detti, in un tempo sospeso nell'attesa di un ritorno alla normalità. Nel campionario di miserie umane risaltano i meccanismi di difesa con cui gli attori in gioco - specie le madri e mogli - cercano di sopravvivere all'esplosione emotiva: proiezione, scissione, negazione, rimozione. Non ne sapevo niente allora, confessa il narratore, "dei modi in cui l'amore può manifestarsi, né della forza con cui può spingerci in un angolo e toglierci il respiro". L'amore dalla natura biunivoca di erotema e parentema: libertà e possessione, vizio e virtù, assoluto ed effimero.

Il male oscuro abita nel sottoscala dell'inconscio collettivo e nessuno sembra mettersi in salvo. Ci sono un bosco, una ragazzina, un lupo cattivo. Nessun cacciatore buono, tante prede. Sullo sfondo dell'archetipo fiabesco sembra di sentire il verbo della Scuola cattolica del premio Strega Edoardo Albinati: "Nascere maschi è una malattia incurabile". La frustrazione maschile è un affare doloroso e complesso, potenziato da un carico enorme di sovrastrutture storiche e psicoanalitiche, esistenziali, sociali, sessuali. Accoppiandosi al desiderio e al testosterone - quante ne abbiamo viste - sprigiona istinti di brutalità e sopraffazione.

L'intimità sconvolta che intossica questa fiaba l'ho addolcita però riascoltando un album bellissimo, come questo libro fatto di molti silenzi: Carrie and Lowell di Sufjan Stevens, una lettera aperta sull'incomprensione spedita ai propri genitori scomparsi. La vita felice parla di tutto questo. L'amor filiale, l'amore coniugale e l'amore trasparente, le catene da serrare e quelle da spezzare, il bene e il male, la dolcezza e la violenza, tutto confuso tutto mischiato e tutto estremo. Che casino l'adolescenza.

Ma diventare grandi forse significa proprio superare il grande trauma di scoprirsi soli in una famiglia che non ci siamo scelti. E da soli attraversare l'età di passaggio come un bosco popolato da mostri, fra cui quelli che albergano in noi stessi. La vita felice è il paradosso di quella che altrove la scrittrice ha chiamato perseveranza. Una spinta misteriosa e inarrestabile verso la vita, che nonostante tutto continua a tenerci a galla.

Elena Varvello
La vita felice
Einaudi
190 p., 18,50 euro

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Michele Lauro