Cosa regalare a uno snob: 5 libri insoliti per lettori selvaggi
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Cosa regalare a uno snob: 5 libri insoliti per lettori selvaggi

Intelligenti, originali, alternativi: ecco alcuni consigli per un regalo raffinato come un baluardo contro il luogo comune

Regalare è un'arte pacifica, ma nei confronti dello snob va esercitata con metodi bellici, scriveva Walter Benjamin alle soglie del Natale 1929 sul settimanale Die Literarische Welt. E non c'è "regalo più aggressivo, più subdolo di un libro", come ho avuto modo di sperimentare personalmente ricevendo in dono qualche anno fa questo raffinato oggetto, intitolato appunto Cosa regalare a uno snob. Badate innanzitutto a non fare l'errore più grossolano, cercando di compiacere qualcuno con un libro legato al suo campo di interessi, dice il grande filosofo, maestro di ironia: gli si fornirebbe un appiglio per esercitare la sua asociale professione. Sbagliare per sbagliare, meglio scegliere qualcosa di laterale, di totalmente spiazzante. Per le persone che amiamo ci sono ad esempio i grandi classici dello snobismo come Stendhal, da regalare magari in edizione originale, corredate dei segni del tempo. Con questo spirito semiserio ecco qualche suggerimento, opere sofisticate di libero pensiero. E se fingete di non conoscere persone snob, potete sempre scegliere di farvi un autoregalo...

'Lettori selvaggi', di Giuseppe Montesano

A proposito di regali aggressivi, al numero uno ci sono le quasi duemila pagine in cui lo scrittore napoletano, insegnante di filosofia al liceo, racconta l'altra faccia Di questa vita menzognera (così si intitolava il suo romanzo del 2003, Premio Viareggio). La vita vera è altrove, afferma già nel sottotitolo, invitando al gesto ribelle di sottrarsi alla giostra della realtà - quella che la nube mediatica spaccia ogni giorno in presa diretta - per tuffarsi nel brivido estatico della finzione, pronti ad afferrare "l'occasione che cambia la vita".

Un libro-biblioteca (bibliografia e indice analitico sono ciascuno un libro nel libro di oltre 100 pagine), una grande abbuffata di bellezza e verità offerta senza pregiudizi né vincoli cronologici né rigide categorie, ma con il sincretismo estetico capace di mischiare le tessere del sapere in un grande romanzo collettivo. Lettori selvaggi è un bizzarro oracolo che nelle grotte di Lascaux fa incontrare e scontrare Saffo e John Coltrane, Buddha e Edgar Allan Poe, Kant e Einstein, Dante e Beethoven, lo yoga e i Vangeli, Platone e David Foster Wallace, Salvador Dalì e Stanley Kubrick, il catalogo Adelphi e la commedia all'italiana...

Difficile che un regalo così passi inosservato, se non altro perché bisogna trovargli spazio in libreria. Se invece rimanesse sul tavolo a far da fermacarte, prima o poi verrà la curiosità di aprirlo, a pagina 1 o a pagina 1000 non importa: il viaggio è iniziato, sarà meraviglioso e imprevedibile come una "pietra graffiata che si trasforma in angelica bellezza", cioè la voce di Bob Dylan, l'inafferrabile aedo cui Montesano dedica una pagina capolavoro.

Giuseppe Montesano
Lettori selvaggi
Giunti
1920 pp., 50 euro

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'Eros e Priapo', di Carlo Emilio Gadda

Mezzo secolo fa Gadda smascherò il "substrato erotico" del Ventennio con un'impostazione psicanalitica degna del Freud di Psicologia delle masse, esibendo una lingua insieme aulica e sboccata, oltraggiosa e postmoderna, coraggiosa. Solo adesso però possiamo apprezzare la portata rivoluzionaria di questo caposaldo dello sperimentalismo linguistico novecentesco, bollato fin dagli anni '40-50 come "intollerabilmente osceno" e uscito per Garzanti nel 1967 in una versione edulcorata dallo stesso autore.

Adelphi pubblica finalmente la versione originale, tratta dal manoscritto ritrovato, con una poderosa appendice di avantesti e riscritture che raccontano la storia di quell'opera geniale e travagliata, sempre in bella vista sugli scaffali della censura. Nella novella epoca trumpista, dominata anche in Europa da tentazioni politiche più o meno muscolari, vale la pena rileggere questa dissertazione sul fattore politico dell'imbecillità e del testosterone come un monito universale antitirannico.

O anche semplicemente per divertirsi ad ascoltare la furibonda, torrenziale invettiva contro il Priapo-Duce: Lui "parlò loro, mascelluto, stivaluto, la sua bugiarda sinèresi: io Patria. E suggerì al loro inconscio (ma non tanto inconscio) quell'altra sineresi che poi le ossedé per un ventennio: Io-fallo".

Carlo Emilio Gadda
Eros e Priapo
Adelphi
451 pp., 24 euro

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'Le passioni', di Leonardo Sciascia

Ad amicizia, amore, dolore il grande scrittore dedicò le sue lectio magistralis in apertura dei Congressi internazionali di studi antropologici tenutisi a Palermo fra il 1983 e il 1986. Passi di grande finezza e arguzia divenuti ora un capitolo di quella Piccola Biblioteca di Oggetti letterari che le Edizioni Henry Beyle stanno costruendo in tiratura limitata. Carta pregiata, segnature non divise, il che obbliga a prendere in mano il taglierino se volete davvero leggere queste poche pagine: ma perfino lo snob ne ricava soddisfazione, passato lo smarrimento iniziale.

E ne vale la pena, perché Sciascia chiama a raccolta Tommaseo, Voltaire e Vitaliano Brancati (anch'egli presente nella medesima collana con I piaceri dell'amicizia) a dare dell'amicizia le più belle definizioni possibili, confessando di sé: "le sole cose della mia vita che ho da rimproverarmi sono quelle che ho fatto cedendo senza precauzione ... al sentimento dell'amicizia".

Attuali in modo sconcertante sono le connessioni fra il dolore e il martirio, il dolore e il fanatismo, il potere, l'ignoranza, la tirannia. Una lezione civile che si conclude con un (doloroso) paradosso: l'immagine più spaventosa del dolore è per noi quella del dolore "che coloro che non pensano, che interi sistemi di negazione del pensiero infliggono a colui che pensa".

Leonardo Sciascia
Le passioni
Edizioni Henry Beyle
46 pp., 24 euro

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'Il naso corto', di Daniela Marcheschi

Il titolo allude provocatoriamente al burattino più famoso del mondo che nel finale della storia guarda allo specchio i suoi vecchi panni: "Com'ero buffo, quand'ero un burattino! e come ora sono contento di essere diventato un ragazzino perbene!..." La chiosa, spiega la più importante studiosa italiana di Carlo Collodi, sta tutta in quel punto esclamativo seguito dai tre puntini di sospensione. Avevate creduto davvero che, alla stregua di un Don Chisciotte qualunque rinsavito proprio sui titoli di coda, Collodi potesse spalancare un futuro da borghesuccio alla sua creatura? No, quei puntini costituiscono la prova che, fedele all'estetica comico-umoristica, Pinocchio è una favola non finita, il primo esperimento letterario multimediale della storia.

Castigat ridendo mores, dicevano i latini: le sembianze della fiaba servono a Collodi per dipingere una grande metafora degli italiani, bugiardi, parassiti, trasformisti, sempre a caccia di privilegi. A quasi 150 anni di distanza, lo sguardo critico con cui lo scrittore fiorentino guardava alla società è modernissimo, sia dal punto di vista morale (non accontentatevi delle false conquiste, salvaguardate l'infanzia che è in noi, tenete vigile la vostra coscienza) sia da quello pedagogico (la famiglia e la scuola dovrebbero concorrere in maniera paritaria al processo educativo, l'una con il cuore, l'altra con la mente), sia da quello politico-sociale (in favore della dignità e dei diritti delle donne e dei più deboli).

Con un'intuizione geniale Marcheschi osserva che addirittura Collodi osa ribaltare i ruoli canonici all'interno della famiglia e della società, rivendicando simbolicamente per il padre (Geppetto) la possibilità di accudire il figlio, e per la madre (la fata turchina) quella di educarlo alla ragione. Proviamo allora a regalarci un Pinocchio senza bugie, magari della nuova, sontuosa edizione delle Avventure curata da Gianni Bono e arricchita con tavole inedite del 1940.

Daniela Marcheschi
Il naso corto. Una rilettura delle avventure di Pinocchio
EDB
84 pp., 8 euro

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'L'imbecillità è una cosa seria', di Maurizio Ferraris

Generazioni di storici, filosofi, romanzieri, uomini politici hanno passato la vita a cercar di comprendere come l'umanità sia potuta (e continui a) incorrere in errori, stupidità, nefandezze così macroscopiche da far dubitare della sua intelligenza. Concetti altisonanti come Capitale, Mercato, Europa, Volonta della Nazione e addirittura Intenzionalità Collettiva vengono ritenuti responsabili della sua Alienazione. La sciagura di un uomo che, rousseauianamente, nascerebbe libero, intelligente, creativo e poi strada facendo si corromperebbe fino a diventare inerte, schiavo, imbecille.

Ma c'è davvero bisogno di questa antropologia positiva per una dialettica negativa? Non potremmo rinunciare una volta per tutte all'illusione trascendentale kantiana e finirla di attribuire a motivi immaginari comportamenti spiegabili con una teoria molto semplice: "il tratto caratteristico dell'umano non è la riflessione intelligente, bensì la reazione imbecille e immediata, cioè il retaggio della caverna e della savana".

Maurizio Ferraris, professore di filosofia teoretica e sottile divulgatore col gusto del paradosso, rivela la ragione del basso continuo dell'esistenza umana in un trattatello semiserio che apparenta l'intellettuale alle masse. Per fortuna l'imbecillità ha una qualità impareggiabile: è l'unica tragedia su cui si può ridere, come ben sapeva Umberto Eco, maestro di ilare saggezza pluricitato in queste pagine.

Maurizio Ferraris
L'imbecillità è una cosa seria
il Mulino
132 pp., 12 euro

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Michele Lauro