Selection Day
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Lifestyle

Aravind Adiga, 'Selection Day' - La recensione

Dall'autore de La Tigre Bianca, una nuova novella ambientata a Mumbai, mostruoso organismo urbano infettato dalla modernità

Narrata con amore, dolore e rabbia da Arundhati Roy nell'indimenticabile Ministero della felicità suprema, l'India contemporanea torna sotto i riflettori in questo ultimo scorcio di 2017 grazie a un altro romanzo-mondo: Selection Day di Aravind Adiga, magistrale interprete della narrativa postcoloniale in lingua inglese premiato nel 2008 con il Booker Price per La Tigre Bianca. E mentre Salman Rushdie nel suo La caduta dei Golden muove da Mumbai a New York seguendo il sogno americano di una famiglia di origine indiana, Adiga s'immerge a capofitto nel magma umano del subcontinente elevando la sua città - Mumbai appunto - a coprotagonista di una saga indimenticabile.

Passione, ossessione, metafora sociale: il cricket

La gente oggi vuole uno sport e una storia, ironizza l'autore fin dalle prime battute. Ma quale storia, in un paese sterminato dove il paria e l'uomo d'affari condividono gli stessi centimetri di asfalto benché una manciata di persone abbia "addestrato il restante 99,9 per cento a vivere in un perenne stato servile", come spiegava nel romanzo d'esordio. Quale storia può essere più avvincente di quella di due fratelli nati in uno slum che riescono a sfondare nello sport? E non uno sport qualunque. Un gioco che in India cattura milioni di persone, un po' come da noi il calcio: il cricket. 

Ma la retorica del lieto fine qui è agli antipodi delle grandi soap che alimentano la fama (e la ricchezza) di Bollywood. A noi indiani piace sentirci dipingere come persone "appassionate, sensibili, profonde, valorose, ferite, tolleranti e spiritose, tolleranti", fa dire Adiga a un suo personaggio. "Tutta quella roba alla Jhumpa Lahiri", scagliando una frecciatina alla brava scrittrice innamorata dell'Italia. Invece "siamo animali della giungla, pronti a divorare i figli dei nostri vicini in cinque minuti". Selection Day è una grande metafora del nostro tempo. Dove il cricket costituisce lo sfondo - umano, sociale, sportivo, simbolico, letterario - di una metropoli (di una nazione, di un'umanità) attanagliata dall'ansia sociale.

I codici affettivi di una famiglia patriarcale

Mohan Kumar, venditore ambulante di chutney in uno slum alle propaggini di Mumbai, mollato da una moglie talmente terrorizzata da aver dimenticato perfino i figli, ha puntato tutte le fiches della vita sui suoi ragazzi, Radha e Manjunath, imponendo loro una disciplina salutista e sessuofobica per non disperderne il talento nel cricket. Ma è la vendetta il capitalismo dei poveri: l'autore ci scaglia addosso questa verità brutale con delicatezza dentro una storia di formazione piena di empatia per i suoi protagonisti, sia gli adolescenti intossicati dal testosterone sia i maturi affaristi che ruotano attorno al destino di quei Giovani Leoni in gabbia. 

I ragazzini dapprima vivono in una sorta di simbiosi, dove la fratellanza è anche una forma di sopravvivenza alle dipendenze del tirannico genitore. Ma ben presto le cose si complicano. La rivalità, le amicizie, le paure, le aspirazioni individuali, le diverse inclinazioni e soprattutto l'affannosa ricerca di un'identità all'interno di una famiglia monca della componente materna annunciano l'adolescenza come un tornado. Frantumando il sogno di uno sport che, ad alto livello, richiede la giusta combinazione di talento e determinazione, temperamento e disciplina, passione e ossessione.

Il primo a lasciare il gioco è Javed, giovane promessa musulmana, benestante, omosessuale. Manju è segretamente, confusamente attratto dall'altra metà del cielo, che non è solo un ragazzo bello e ricco e irraggiungibile ma una personalità libera, decisa a rompere le barriere di un karma costruito per lui da qualcun altro. Ma tutto ha un prezzo, soprattutto i giovani campioni. Per loro venderanno cara la pelle, oltre a Mohan Kumar, un vecchio talent scout in pensione soprannominato Tommy Sir e Anand Mehta, manager pasticcione tornato da un master a New York con l'illusione di riformare il capitalismo all'indiana, che scommette sui due fratelli battitori regalando loro il fatidico salto sociale.

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Due schieramenti affettivi opposti si danno battaglia per il futuro del più intelligente e talentuoso dei fratelli, in una sorta di variante esistenziale dell'epica battaglia del Mahabharata: l'esercito della famiglia (degli allenatori, dei finanziatori) si scontra con i rumori del mondo, le sue infinite tentazioni. Il principio di cui si è fatto portavoce Javed ("la mia vita non sarà limitata dalla tua immaginazione") seduce Manju, che affina la passione per le scienze cercando invano una via per diventare se stesso, vittima di un mondo che "non gli aveva mai mostrato una via chiara per l'amore o la sicurezza". 

L'incursione dello scrittore nella psiche di un adolescente, cresciuto nelle ristrettezze di una famiglia a trazione maschile e poi catapultato nella gloria effimera, pieno di talento ma fragile, sensibile e dalla sessualità ancora in sboccio, produce l'esito straordinario della grande letteratura: convincere il lettore che c'è una parte di lui nel suo eroe. Il sano bisogno di "uccidere il padre", scritto nei geni della crescita, tormenta Manju. Eppure l'Einstein della solitudine, come lo ribattezza l'amica benestante, Sofia, finisce per essere un campione soltanto nel tirarsi indietro. La sua identità presa in mezzo fra due desideri (gli uomini e le donne) come quella di "un animale braccato che poi si rifugia tra le braccia del padre". 

La folle corsa nella città degli eccessi

Mumbai viene scandagliata in lungo e in largo, dalle buie catapecchie di periferia alle mille luci della Marina e dei nuovi quartieri lobotomizzati dalla ricchezza. Con descrizioni abbaglianti e sinestesie acustiche, tattili, olfattive. Può capitare di percepire l'odore corporeo di un dio dell'India meridionale, girando pagina all'improvviso e trovandosi sul greto di un canale gonfiato dalla pioggia. Oppure di sentire il fiato collettivo di quell'umanità promiscua che affolla senza sosta i marciapiedi pieni di buche, i ponti e i passaggi sopraelevati, la spiaggia e la collina, le stazioni e i centri commerciali, le latrine all'aperto e gli uffici della Borsa. 

Una giungla urbana di mendicanti e hipster, santoni e arrampicatori sociali, paria e giocatori d'azzardo, figli della mezzanotte e figli di papà davanti alle discoteche. Simile a un bestiario, a una paradossografia medievale, a una miniatura disegnata dal fantasma di Bosch, Mumbai affonda sotto il monsone come un'allucinazione. Cos'è in fondo oggi un indiano, si chiede Anand Mehta a un convegno di imprenditori travestiti da benefattori. "Un avvoltoio che volteggia sopra le nazioni in cerca di un'identità". Compra una cosa a Dubai oggi, domani a New York. Poi "un giorno guarda la sua vita, vede che non ha senso e allora si dà alla religione". Una sentenza agghiacciante che scuote anche noi, in Occidente, compratori e benestanti di lungo corso.

Aravind Adiga
Selection Day
Einaudi
312 pp, 20 euro

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Michele Lauro