Gli spaesati
Giovanni Marrozzini
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Angelo Ferracuti, Giovanni Marrozzini, ‘Gli spaesati’ - La recensione

Reportage commosso dalle zone del terremoto del centro Italia

Scuote come un piccolo terremoto interiore questo libro. Con parole delicate e immagini vibranti accompagna il lettore a rimuovere la rimozione, meccanismo di difesa nazionale. Ma non solo. Il pregio estetico della sua confezione - carta patinata, grafica elegante, curatissima definizione del bianco e nero - contrappone ai paesaggi di macerie una simbolica fiammella: la stessa che con le fattezze di un fiore accende la piana di Castelluccio nella foto di copertina, il giorno della prima semina dopo il terremoto. La vita ricomincia non quando hai un prefabbricato che ti contiene, ma quando ricominci a vedere la bellezza.

Memorie da una realtà provvisoria

Angelo Ferracuti ha viaggiato per otto mesi nelle terre squassate dai sismi del 24 agosto e 30 ottobre 2017, riportando a casa la memoria dei restanti, Gli spaesati. Una narrazione collettiva dal basso, spiega l’autore nell’epilogo, alternativa a quella ufficiale calibrata sui quattro tempi del racconto televisivo: spettacolarizzazione del disastro, retorica della “resurrezione”, rimozione del dolore, oblio. Le fotografie in bianco e nero di Giovanni Marrozzini, seguendo il medesimo principio non-sensazionale e non-documentaristico, ritraggono in maniera cruda e insieme poetica un’Italia nascosta, che forse così non avevamo mai visto.

“Dallo tsunami si salva solo chi l’onda l’attraversa”. È la sentenza dolorosa con cui un’educatrice sintetizza la condizione metafisica dei terremotati, il limbo di attesa, provvisorietà, ansia, spavento permanente. Spaesati cioè non solo sfollati, senza casa, senza intimità, senza comunità. Ma senza radici, che quando d’inverno le foglie cadono e i rami si spezzano sotto il peso della neve sono le radici a tenerci appesi alla vita. Spaesate anche le bestie, i cani frustrati che quel giorno avevano provato invano ad avvisare i padroni, le capre scappate, i vitellini abortiti, le vacche senza latte, i lupi e i cinghiali che dal fitto dei boschi osano affacciarsi alle rovine. 

I capitoli seguono la linea di faglia all’incrocio delle quattro regioni colpite: Marche, Abruzzo, Lazio, Umbria. Partendo dai campeggi degli sfollati sul lungomare adriatico, Ferracuti e Marrozzini si addentrano nelle nature morte a cielo aperto dell’Appennino centrale, raggiungono i villaggi abbarbicati sulle pendici, penetrano nelle zone rosse ancora sorvegliate dalla protezione civile, incontrano persone: quelli che sono rimasti, quelli che se ne sono andati. Uomini e donne, vecchi e bambini, italiani e stranieri, alberi e animali: tutti affratellati da un senso di comunità provvisoria, le cui dinamiche di livellamento sociale sono un risvolto antropologico che colpisce, che commuove.

Il senso di appartenenza nei santuari del silenzio

Ci sono la postina che consegna lettere ai fantasmi e il medico che visita dentro i container, pensionati rassegnati e ristoratori incazzati in attesa di sapere se ricominciare o chiudere per sempre bottega, eremiti che scendono dalla rupe per aiutare chi ha bisogno. C’è una psicologa che ha inventato una terapia di gruppo dal nome bellissimo: Chiedi alla polvere. C’è perfino l’umorismo di ritorno, nella scritta Vendesi che campeggia sui resti di un agriturismo semidistrutto. E tanti allevatori che con il lavoro oppongono resistenza alla malora. Proprio la storia di un “restante” tra i pascoli, Marco Scolastici, è diventata da poco un libro Einaudi, Una yurta sull’Appennino

Il giorno prima del sisma l’aria e la luce erano diversi, racconta un’anziana che, come tanti, si è rifiutata di lasciare la sua terra. Con arte maieutica Angelo Ferracuti estrae l’elemento fantasmatico dalle storie private di chi ha subito la forza selvaggia - creatrice e distruttrice - della natura. Nel parlatorio corale di questo libro risiede cioè il lascito affettivo del finimondo, la testimonianza della solitudine cosmica che si è lasciato dietro, ma anche di come a volte raccontare sia l’unico modo per portare l’angoscia fuori dai corpi, o materializzarla “per conoscerla meglio e cercare d’ammansirla”.

Scrivere e fotografare per fare il bene, si intitola la prefazione di Franco Arminio. Gli spaesati condivide molti orizzonti di umanità con il poeta che dedicò all’Irpinia terremotata il suo emozionante Viaggio nel cratere, prestando la voce alle persone intirizzite dal silenzio. Accudire i paesi come un proprio caro che sta morendo, riparare le crepe che ha lasciato la scossa, trasformare la rabbia in forza: è il medesimo spirito che anima le Brigate di solidarietà attiva a prestare aiuto volontario, materiale e umano, ai più fragili fra i terremotati. Era in fondo il sogno di San Francesco, di cui Ferracuti riporta una frase scritta sul cartello che indica l’ingresso nel paese senza abitanti, Nottoria, 13 km da Norcia: “L’uomo veramente pacifico è colui che fra le avversità della vita conserva la pace dell’anima”.

Angelo Ferracuti, Giovanni Marrozzini
Gli spaesati
Ediesse - Liberetà Edizioni
181 pp., 16 euro

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Michele Lauro