Letta e Renzi sono finti giovani
Illustrazione di Lorenzo Petrantoni (particolare)
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Letta e Renzi sono finti giovani

Sulla scia del renzismo, un’onda di retorica giovanilistica infuria in un Paese di anziani, dove un cittadino su cinque è over 65

Il problema dei giovani è che, prima o poi, invecchiano. Scriveva Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto del Futurismo: «I più anziani fra noi hanno 30 anni: ci rimane dunque un decennio per compiere l’opera nostra. Quando avremo 40 anni altri uomini, più giovani di noi, ci gettino pure nel cestino come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!». Poi, com’è noto, compiuti i 40 anni, anziché farsi gettare nel cestino («rottamare», diremmo oggi, con verbo ancor più futuristico), Marinetti preferì farsi nominare accademico d’Italia.

È dunque difficile prevedere che sorte avrà fra breve l’ardita schiera di giovani che, sull’onda del renzismo, ha occupato l’arena politica. Ormai è tutta una rincorsa a chi è più giovanilista. Enrico Letta, nella conferenza stampa di fine anno, ha celebrato il trionfo dei quarantenni (già stagionatelli, quindi, secondo i canoni futuristici). Ma Matteo Renzi (39 anni l’11 gennaio) era già andato oltre schierando, nel suo staff di direzione, un esercito di trentenni agguerriti.

Davanti a questo trionfo della gioventù, si rischia di essere stucchevoli ripetendo i soliti luoghi comuni. E cioè che le facce nuove vanno bene, ma dipende pur sempre da che faccia hai. Oppure che contano le idee e non l’età e che, anzi, in genere, uno vanta la propria età quando non ha idee da esibire. Non diremo dunque nulla di tutto ciò. Ma si potrà almeno dire che questo giovanilismo ci ha già stufato? Che ci pare già vecchio, datato, obsoleto?

Intanto parliamo per lo più di finti giovani. Letta e Renzi, al di là dell’anagrafe, sono due vecchi democristiani (e democristiano, come vecchio, non è necessariamente un insulto). La giovanilissima renziana Pina Picierno è una che si è formata nel culto di Ciriaco De Mita a cui, per eccesso di devozione, ha dedicato persino la sua tesi di laurea. Né è solo questione di renzismo. Il giovanilismo è da anni fenomeno trasversale e universale. Marianna Madia, oggi membro della segreteria del Pd, viene inventata politicamente nel 2008 da Walter Veltroni come la risposta «de sinistra» a Mara Carfagna. Per la 31enne Giorgia Meloni, sempre nel 2008, si crea addirittura un ministero della Gioventù (ma perché non anche della vecchiaia? O della mezza età?). E non ci sono solo i giovani politici, c’è anche una pletora di giovani scrittori, giovani critici, giovani editorialisti. Ovunque un tempo regnava la gerontocrazia, oggi si afferma il giovanilismo. Da Paolo Giordano a Silvia Avallone, il giovin scrittore ha autostrade spianate. Ci sono manager editoriali che strappano persino i minorenni alle scuole dell’obbligo per mandarli a fare i romanzieri.

Il giovanilismo, insomma, è fenomeno ormai vecchio. Anzi, vecchissimo. Non per caso qualcuno ha definito il Novecento «il secolo dei giovani». Sono 100 anni almeno, dallo squadrismo fascista ai sessantottini, che minoranze giovanili agguerrite e proterve dettano le mode e scandiscono le parole d’ordine culturali e politiche. Sono 100 anni che si sente inneggiare alla giovinezza. E sono 100 anni che i giovanilisti partono con il piglio degli incendiari e si trasformano poi quasi subito, come per incanto, in pompieri.

Se dovessimo giudicare un’esperienza politica col metro dell’età, dovremmo metterci tutti in camicia nera: Italo Balbo entrò nel governo a 29 anni, Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano furono ministri a poco più di 30, e prima dei 50 erano già tutti morti o fuori gioco. Ma l’Italia di allora era in effetti, un Paese giovane, mentre la cosa più bizzarra di quest’ultima ondata di retorica giovanilistica è che essa infuria in una nazione di vecchi. Siamo infatti, dopo la Germania, i più anziani d’Europa: secondo l’Istat, l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra over 65 e under 15 in Italia, è quadruplicato in 40 anni, passando dal 46,1 del 1971 al 148,7 per cento del 2011. Un italiano su cinque, il 20,3 per cento, è anziano. Ecco l’Italia di oggi: una maggioranza di vecchi che delega il suo destino a una minoranza di trentenni.

Voi forse non lo sapevate, ma in Italia abbiamo anche un’Agenzia nazionale per i giovani (Ang). Secondo le regole sempreverdi dello spoil system, mentre il Paese era distratto dalle vacanze natalizie, il governo ha nominato direttore dell’Ang l’ex montezemoliano, e ora renziano di ferro, Giacomo D’Arrigo, 37 anni. Non è uno scranno prestigioso come quello di accademico d’Italia che toccò a Marinetti, ma pare sia meglio retribuito (165 mila euro l’anno, secondo il quotidiano Libero, assai critico sulla nomina).

È comunque un primo passo per risolvere quei problemi dell’occupazione che per Renzi sono una priorità: a D’Arrigo, almeno, un’occupazione gliel’abbiamo trovata. Il neodirettore dell’Ang è anche fresco autore di un pamphlet giovanilistico che s’intitola L’Italia salvata dai ragazzini (Marsilio). E noi siamo certi che i ragazzini salveranno l’Italia. Ma chi salverà l’Italia dai ragazzini?

di Giorgio Ieranò

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